Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Una famiglia di topi

205075
Contessa Lara 3 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Moschino, lo abbiamo detto, era uno spiritello curioso, sempre in giro, sempre pronto a cambiar di luogo, con la smania dell'ignoto, con un desiderio di veder cose nuove, che avrebbero fatto di lui un cavalier di ventura, s' egli, per sua disgrazia, fosse stato un uomo, e se fosse vissuto ne' tempi quando girar per il mondo era un' impresa assai meno facile che non al giorno d' oggi. Ben presto, dopo aver percorso su e giù, per largo e per lungo, i due salotti destinati ai ragazzi Sernici e a' loro topi; dopo avere esplorato tutto il resto del vasto appartamento, dove ogni tanto lo ritrovavano rimpiattato in un cantuccio lontano, Moschino fu invasato dall'idea di conoscere il mondo, il mondo immenso che stava di là da que' confini. Ragù e la Caciotta, credendo di sempre più affezionare i propri figliuoli a quella fortunata pace signorile e casalinga, che ormai avrebbero avuta tutti fino alla morte, raccontavano ai piccini tante cose bizzarre, che avean messo una vera febbre di novità in corpo a Moschino. Mentre alla descrizione di strade campagnuole, di città non mai viste, sotto gelidi chiarori di luna e solleoni di fuoco, Ninì e Lilia tremavano come le foglie, Dodò si leccava nervosamente una zampa, e Bellino spalancava un momento gli occhietti rossi, Moschino badava a fantasticare: faceva nè più nè meno di Nello, al racconto delle peripezie marittime del vecchio Marjant.... Si stava bene, sicuro! in quella casa ospitale, non ostante tutti i guai che v' erano capitati: i bimbi facevano da babbo e da mamma a' loro sorcetti; avevan carezze, baci, premure per tutti. Ma in fin de' conti, che male ci sarebbe stato a levarsi per qualche tempo da quella continua sorveglianza, e a imparare a conoscere un tantino il mondo?... se non altro per apprezzar meglio ciò che veniva fatto di godersi in casa?... Il mondo! Questa parola, che per Moschino non aveva un significato preciso, questa parola che gli rappresentava qualcosa d'immenso, di straordinario e d'oscuro, suscitava nel topo giovine una grande paura, mista ad un gran desiderio. Egli si domandava perplesso: - O che cosa può mai contenere il mondo, il mondo enorme? È così grande anche il salotto dove stiamo sempre! È così immensa tutta la nostra casa, ch'io non so, proprio non so, come abbia ad essere il mondo! Di pericoli, dice la mamma mia, ce n'è a bizzeffe; e lei lo sa, povera mamma, che ne ha cansati tanti, quasi per miracolo. Nel mondo, i gatti se la passeggiano da padroni; e i gatti non risparmiano nessun topo, sia uscito di cantina o originario delle Indie.... E gli uomini? Gli uomini, aveva detto la contessa, se ne trovan de' buoni; ma se ne trovan di quelli!... Non importa! Il mondo va affrontato; lo affrontano tutti coloro che hanno il coraggio di stare fra' loro simili. - Moschino non capiva, ma indovinava le lotte ch' era obbligato a sostenere il conte Sernici, e quanto avrebbe dovuto soffrire per arrivare al punto d' accomodare tutte le sue faccende, dando alla famiglia il benessere materiale e morale di prima. E la smania di conoscer lui pure qualche lato della vita, per poi, divenuto vecchio, avere, conte i suoi genitori, molte avventure da raccontare, lo indusse a spiare il momento, in cui la porta delle scale fosse rimasta aperta, per isvignarsela di casa, senza dir nulla a nessuno. Con la confusione che regnava allora nella famiglia Sernici, l'occasione non poteva mancare. Una volta fuori, Moschino, intelligente com' egli sapeva d' essere, anche perchè glielo dicevano tutti; furbo poi, che non c' era il compagno, avrebbe trovato modo di cavarsela veramente bene. Non intendeva, Dio liberi! abbandonare per sempre li luogo della sua nascita, nè i suoi cari parenti; ma un po' di svago voleva pure goderselo. Con tutti questi progetti d' indipendenza, che gli frullavano per il cervellino, passò parecchie notti riposando meno del solito; e un po' in vidiava, un po' compativa tutti gli altri della sua famigliola, che se la dormivano in una quiete perfetta. Erano creature con idee ristrette, pensava Moschino; e lui era proprio un topo superiore. Una bella mattina che la Letizia, rimasta come unica persona di servizio in casa Sernici, aveva lasciata dischiusa la porta delle scale, perchè era scesa un istante a comprar qualcosa per la colazione dei padroni in una bottega lì accosto, Moschino, che, secondo il suo solito, correva qua e là per le stanze, prese la grande determinazione di quel suo viaggio, diremo così, all' estero; e guardato bene che non lo vedesse anima viva, infilò rapidamente l'uscio. Il contatto del marmo delle scale con le zampine avvezze a passeggiare sempre sui tappeti, gli fece subito una sgradita impressione, e un leggiero brivido gli corse per tutto il corpo. - Diamine! - pensò - non si cammina sempre su' tappeti, a quanto pare! - Ma non per questo tornò indietro, ormai era fuori, e qualcosa dovea pur arrivare a conoscere. Del resto, c' è un vecchio proverbio che dice: «Il peggio passo è quel dell' uscio.» Magàri fosse stato fin lì tutto il male per il povero Moschino! Ma non precorriamo gli avvenimenti, ch' è meglio raccontare per filo e per segno.

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Ormai abbiamo trovato dei padroncini che ci colmano di buone grazie, e che s' ingegnano di farci dimenticare tutte le pene sofferte nella nostra vita da zingari. - Ragù, rassicurato su l' avvenire, dichiarò, volgendo qua e là la testina con gli occhi lucenti che piacevano tanto a Caciotta: - Adesso, se avremo dei figli, non ci metterà più paura l'idea che i nostri piccini facciano una vita di stenti, di pun- zecchiature e di fame!... - Caciotta accostava allo sposo il musetto col naso mobile, tutto roseo in mezzo alla raggiera dei lunghi baffi (tra' topi, curiosa! hanno i baffi anche le femmine), e già sognava le gioie d'una famigliuola di topolini, che Rita e Nello avrebbero saputo educare con ogni cura e ogni gentilezza. A poco a poco Ragù s' era pienamente ristabilito in salute. I fianchi, prima scarni, che gli facevano due incavi, s'eran venuti arrotondando; il pelo, che prima qua e là gli mancava, gli era ricresciuto raffittendosi per modo, che Rita appena gli ci poteva passare il pettine, e doveva contentarsi di spazzolarlo come un piccolo manicotto. Siccome la contessa Sernici non intendeva che i suoi ragazzi trascurassero gli studi, così essi s' occupavano di Ragù e di Caciotta nelle ore di ricreazione. Gli era allora che si faceva la pulizia; gli era allora che insegnavano ai topi a seguirli come cagnolini da una stanza al- l' altra, a prendere il cibo dalla bocca, come due piccioni, e altri simili garbi. Con gli antichi esercizi non li affliggevano più: non si parlava, certo, di scegliere il biglietto verde o color di rosa della sorte. Soltanto Nello aveva detto: - Sarà bene, però, che Ragù non si dimentichi a dirittura del fucile. Chi è stato soldato, non è vero, mamma? dev'esserne contento. - Contento e superbo; - rispondeva la contessa. - Ma il povero Ragù ha presa una malattia sotto le armi, e ora, Nello mio, bisogna che tu lo consideri come un veterano inutile al servizio. - Poi soggiungeva sorridendo : - Piuttosto, se Ragù e Caciotta avranno dei figli, faremo militare un di que' piccolini. -

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. - E poi - soggiunse questi - io divento grande, lavoro, e riguadagno tutto quello che abbiamo perduto. - Ecco un ragazzo che ha più coraggio di me - disse il conte, pigliando il figliuolo in braccio, e baciandolo. - Ma - soggiunse - che dirai tu, quando i tuoi compagni di scuola ti domanderanno perchè non hai più la tua carrozza, e i tuoi be' vestitini eleganti e.... - La voce del conte tremava: - Dirò - rispose il fanciullo a testa alta e con accento vibrato - come hai detto tu: che siamo diventati poveri perchè abbiamo voluto salvare prima di tutto l' onore: e l'onore non si compra a quattrini. - Bravo ragazzo! - conchiuse il padre rasciugando ancora una lagrima, e dando un bacio alla moglie - ora andiamo a desinare. - A punto la Letizia stava apparecchiando. In quel frattempo, i topini domandavano tutti a Dodò: - Ebbene, hai capito niente tu? - Sì, ho capito che il padrone ha perduto tutto quello che aveva. - Oh povero signore! e come l' avrà perduto? - chiese la Caciotta. - Non lo so, mamma, - rispose gravemente Dodò. - Sicchè, ora i topi dovranno sgomberare? - domandò Moschino grattandosi un orecchio. - Speriamo di no, Dio mio! - esclamò il povero Ragù, che aveva una paura estrema di capitare un' altra volta nelle mani dell' antico padrone. Intanto bisogna esser buoni - conchiuse Dodò - e mangiar quel che si trova, senza cercare le leccornìe, che non si possono più avere. Tutti si misero a tavola. Il conte mangiava di mala voglia; la moglie e i figliuoli lo guardavano e stavano zitti: nessuno pensava ai topini. Ma i topini, che avevano udite le raccomandazioni di Dodò, non osavano domandar nulla, per paura di contristare il padrone. Eppure avevano fame: da sei ore non mangiavano. Allora Dodò prese una risoluzione. Aspettò che fosse diviso il formaggio portato in tavola dalla Letizia su due pampini in un tovagliolo, e impadronitosi pian pianino d' una di quelle foglie, la portò di trotto nel piatto destinato a' suoi; e tutti i topi si misero subito ad addentarla di gusto. Il conte vide tutto, e fu preso da una gran tenerezza. - Oh Dodò! - esclamò - tu pure vuoi dirmi che sopporterai la miseria senza lagnarti. Povera bestia! povera bestia! - E preso in mano il topino, lo coprì di baci. Dodò lasciava fare, e quando il conte l' ebbe posato di nuovo su la tavola, ei gli prese un dito con le manine, e cominciò a leccarlo furiosamente, alzando la testa e guardando il padrone, come per attestargli la devozione sua e di tutta la piccola famiglia de' topi. Da quella sera, Dodò non ebbe più altro pensiero che quello di confortare il padrone; il quale passava la maggior parte della giornata in casa a lavorare nel suo studio o in quello della contessa, facendo conti, ricevendo creditori, scrivendo lettere, gettando su la carta progetti di nuove speculazioni. Delle volte, mentre si torturava il cervello a trovar qualche accomodamento, d' un tratto sentiva un balzo su le ginocchia: era Dodò, che dal piano inferiore della scrivania saliva a fargli una visita, a carezzarlo e a baciarlo. Allora il povero signore si distraeva per un po' da' suoi pensieracci, e tutto commosso delle premure del suo topino, gli diceva tante cose affettuose, come a un altro figliuolo. Dodò doveva aver imparato a conoscere i creditori del conte da' modi sgarbati con cui entravano in casa; e bisogna dire che, non ostante la sua grande pazienza, proprio non li poteva vedere. Quando ce n' era qualcuno in salotto, ei v'andava di corsa, gli girava in torno e s' industriava di salire alla chetichella sul divano, per potere appiccicargli un morso da lasciargli il segno. Il conte sorrideva tristamente, se lo pigliava in braccio e lo metteva sur un' altra sedia, dicendogli: - Via, Dodò, sta' fermo, sta' buono, povera bestia! - Ma Dodò non si chetava, e testardo come un mulo, tornava all'assalto, senza mai darsi pace fin che quell' altro non fosse andato via. Allora il padrone se lo pigliava su le ginocchia, e carezzandogli il dorso, gli diceva: - Povero Dodò! hai paura che ci portino via la roba di casa, eh, povera bestia? Ma non la porteranno via, no, Dodò: non aver paura, povero vecchio! - E il topino che intendeva, si strug- geva in cuor suo di non potere rispondere, e badava solo a leccare, a leccare le mani del conte. Ah, se gli fosse riuscito d' acchiappare il dito a uno di quei brutti uomini, che venivano a tormentare il padrone! Una volta, alla fine, se ne potè cavare la voglia. Sonnecchiava, dopo colazione, nella solita libreria, dietro una bella fila di libri rilegati, quando gli parve d' udir delle voci. Tende gli orecchi; la Letizia diceva: - S' accomodi! passi! vado ad avvisare il padrone. - Bene, bene! - rispondeva una voce burbera. Dodò fiutò l' aria: quell' odore non gli era nuovo. Appoggiò le mani a un libro, sporse il musetto: - Ah pezzo di brigante! l' aveva riconosciuto. - Era uno che un' altra volta, essendo venuto in casa, visto Moschino sur una sedia, gli aveva gridato: - Va' via, brutta bestiaccia! - e aveva afferrato il bastone. Ma sì! Moschino con le sue gambe da grillo, in tre salti era scappato sotto un armadio, di dove non lo avrebbe snidato neppure il diavolo. Stava giusto pensando a codesto, quando gli parve di sentire uno stropiccìo su' libri, dall' altra parte; si mette in ascolto, annusa l' aria: - è lui, è lui che vuol rubare - pensava Dodò - i libri a' padroni. Ora ti concio io! - Pian pianino, ritirando le unghie, senza pur toccare il legno con le zampe, Dodò striscia da quella parte dove il rumore si facea più distinto, e arriva in tempo per vedere una manaccia pelosa che pendeva sopra un volume. Fece un balzo di quelli come non ne aveva fatti più da molti mesi, e i suoi quattro dentini, lunghi e

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