Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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UNA SERENATA AI MORTI

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Faldella, Giovanni 3 occorrenze

I nostri posteri non vorranno credere, che persone pulite e di garbo abbiano esercitato così pubblicamente il lenocinio, in buona fede, sicuro, quel che è peggio, in buona fede. Quando si vive continuamente in un mondo artificiale, si desina ogni giorno alla trattoria, e non si parla con altre donne fuorché con la fioraia, con la guantaia, con la padrona di casa, con la mercantessa di sedie al teatro e ai giardini pubblici, e con le abitatrici delle sedie limitrofe, si perde ogni sentore di famiglia; e la si schernisce, la si distrugge, senza farlo apposta, anzi senza accorgersi... La comitiva si fermò davanti la bacheca di un libraio. La signora Geromino loda la felice scioltezza dei titoli; per esempio Giornale di un giornalista... Pino Goldi la interrompe per gridare: - Per Dio! Fiori di Bitume... Avevamo già i Fiori del male, che erano un passo molto innanzi sui Fioretti di S. Francesco. Fra qualche mese mi aspetto un libro di poesie intitolato Fiori di Water?closet... A proposito, Geromino, mio signor sindaco, non ti pare che qui il popolo... delle insegne pecchi di anglomania o di tedescomania, come da noi si pecca di gallomania? Qui i cabinets... intimi ed idraulici si chiamano Water?closets; un bicchiere di birra bock; i biglietti d'ingresso alla Esposizione tickets... Che ne dici, signor avvocato, filosofo mio?... - Io ti dico e ti insegno, Pino discepolo mio, che una parola, la quale abbia nella sua lingua una significazione generale, trasportata poi in una lingua straniera acquista il vantaggio di esibire la ricchezza di una significazione speciale. Così wagon in inglese vuol dire semplicemente e genericamente carro; e vagone, fatto italiano, vuol dire il carrozzone speciale dei treni della strada ferrata. - Quanto si impara per istrada, - disse con ostentazione adulatoria il Goldi - quando si ha il benefizio di aver in compagnia un filosofo peripatetico della tua forza! - Si impara anche questa conferma stradale che i parigini sacrificano ogni sentimento al contegno delle forme - soggiunse la signora Angelica Geromino. - Ti ricordi, sindaco! quando il cappellano-fattore?segretario del marchese di Monticella nel fare stampare la lettera di morte della signora marchesa ci mise dentro: "L'illustrissimo marchese ecc. HA L'ONORE di partecipare a V. S. l'irreparabile perdita..."? Il marchese, avvertito dagli amici, andò in collera; e l'onore posto in vece del dolore negli annunzi di morte divenne nel nostro paese una baia proverbiale, con cui i proprietari si consolano malamente del rammarico di aver perduto una vitella. Invece qui a Parigi l'onore pel dolore nella morte dei più cari sembra una cosa naturale... Infatti si era davanti un gran negozio di pompe funebri che annunziava all'ingrosso e al minuto: - Convogli mortuari, interramenti, medici necroscopici, servizi religiosi, lettere di partecipazione filettate di nero ed altre imprese e merci dello stesso colore... frangiate di giallo e bianco. E la signora Geromino lesse forte il modello d'una lettera di annunzio mortuario, che campeggiava nel bel mezzo di quella bottega di Caronte: - La signora Emilia..., religiosa del Sacro Cuore, e la signora Hoenig nata ecc., ONT L'HONNEUR de vous fair part de la perte, qu'ils viennent de faire en la personne etc. - Il gran Galateo delle forme pubbliche - riprese Geromino - si rivela sopratutto negli avvisi delle autorità costituite. Degnatevi di ammirare quest'Ordonnance concernant les chiens. Nous Prefet de Police etc. Vu la loi etc... Sembra che il senatore, prefetto di polizia, si sia messo i guanti per discorrere coi cani e dica loro: "Favorite di portare la museruola; se no, i nostri ufficiali, gli accalappiacani, vi pigliano e vi ammazzano, S'il vous plait...". Ah! io non faccio tanti complimenti ai signori cani di Monticella. Oh! niuna pubblicazione all'Albo Pretorio! Comando semplicemente ai miei sparafucili, guardie campestri: "Uccidetemi quel cane irregolare e infesto...". E di lì a mezz'ora il cane proscritto ha terminato di far male... Un'altra nota della letteratura parigina, ambulante, spicciola, giornaliera, sia essa parlata o sia scritta, si è la disinvoltura nelle inesattezze, a cui il parigino si abbandona per semplice estro di frivolezza e di burla o per scopo di tirar gente. Non fu raro il caso, che sull'imperiale dell'omnibus un parigino, conoscendo il nostro sindaco per forestiero, lo abbia toccato nel gomito con un gesto di carità fraterna e gli abbia indicato il maresciallo Mac- Mahon, che passava. Anzi Geromino assicura che gli additarono sette Mac?Mahon di fisionomia affatto diversa, ed invano il segretario volle spiegare l'arcano al suo superiore, dicendogli che una volta sarà stato l'eroe di Magenta, un'altra volta il Mac?Mahon delle batoste del 1870, a cui il popolazzo parigino in quei giorni perigliosi voleva imporre le orecchie d'asino; una terza volta il debellatore della Comune, una quarta l'uomo del 16 maggio, una quinta il presidente dal dilemma cornuto di Gambetta: dimettersi o sottomettersi; una sesta il presidente in voce di pigliarsi ambedue le corna, oltre la intimazione di Gambetta, cioè in voce di dimettersi, dopo di essersi sottomesso; una settima il possibile presidente destituito dalle vicine elezioni senatoriali. Nello stesso modo facile, con cui i parigini danno ad intendere personalmente a Geromino un uomo per un altro, e una via per l'altra, essi non hanno, come disse con un arcaismo il povero sindaco, essi non hanno alcun respitto nel litografare e nel vendere un album delle facciate delle Nazioni all'Esposizione, facciate, fors'anche migliori, ma affatto diverse da quelle che esistono in realtà. Alcuni grandi magazzini o semplici negozi regalano ai loro avventori e anche a chi non compra niente, una pianta di Parigi e dell'Esposizione. Or bene Geromino verificò, che in una pianta dell'Esposizione il Campo di Marte era capovolto rimpetto al Trocadero, e ciò per poter collocare meglio negli angoli del disegno la raccomandazione dell'Acqua di Melissa o della broda Boudier o della sartoria Voltaire, che per 21 lira dà un vestiario completo, oltre al ritratto dell'autore dell'Enriade. Nella pianta di Parigi poi isoleggia, fuori di ogni squadro, il magazzino, che l'ha fatta stampare; cosicché ad un forestiere meno ingenuo di Geromino parrebbe che il negozio, di cui si tratta, fosse cosa più notevole e più grande del Louvre, delle Tuileries, del Lussemburgo, della Maddalena, del Pantheon e degli Invalidi riuniti insieme. A un certo punto la nostra brigata, passando davanti a un padiglione illuminato a vetri colorati, fu tutta intagliata dalla proiezione degli annunzi. La signora Giacomina aveva sulle spalle la raccomandazione di un romanzo; il sindaco aveva nella faccia il disegno di un cappello; il segretario era attraversato da un Gran Ristorante; e la signora Clitennestra portava sul naso la strombazzata della Compagnia Nazionale del lucido da scarpe francese. Eglino erano diventati tante caricature di Cham, e come se ciò non bastasse, di sopra li percotevano alcuni paroloni di gaz illuminante da disgradarne Ottino, che predicavano le extra ultime mantiglie al primo piano; l'asfalto si spingeva, sotto i loro piedi, a cantare in lettere bianche le pantofole più morbide dell'universo, e i tavolini da caffè loro sorridevano mosaici di avvisi benevoli e stuzzicanti. Da quella ridda di reclami, i nostri quattro viaggiatori si involarono, riparandosi nella loro umile casetta di rue du Bac, mobile come un vecchio armadio in riparazione davanti la bottega di un falegname. Goldi disse a Geromino: - Ho fatto incetta qui di parecchi giornali scostumati; ma prima di leggerli rinserriamo le nostre consorti nei loro appartamenti. Certi giornali non potrebbe leggerli neppure... mia moglie. Quando fu ben sicuro, che il gentil sesso era rientrato nelle sue tende, il segretario, con il più buffo secretume da Consiglio dei Dieci, offerse un fascio di giornali alla lettura del suo sindaco. Questi, dopo averli esaminati, stette un po' pensieroso e poi ragionò: - Una volta la letteratura francese commetteva qualsiasi bricconata con buon gusto; tanto è vero che il maledico Heine poteva scrivere di Victor Hugo, che questi godeva appunto di una fama singolare, perché egli era l'unico che sconfinasse dal buon gusto fra i suoi connazionali. Ora invece la bricconata letteraria francese viene fuori con la frase più tecnica e più brutale. In questo giornaletto c'è una lettera di uno zio padrino alla nipote Giovannina cucitrice di nero a Montmartre, per i casi occorsile, onde ebbe origine un trovatello, ed è una lettera di cui si potrebbe tradurre il senso ma non la parola cinica. E questa poesia? La vita di un Gaudente, Ninna Nanna. "Quattro anni per dire mamma e papà, amare gli zuccherini, le immagini, e farcela addosso, è la gran bella età! - Dieci anni! per andare in collegio, intraprendere un tirocinio, è la gran bella età! - Diciotto, vent'anni! - Per fare all'amore, per diteggiare i vaghi corsetti, i giocondi visini, le gambe fatte al tornio, ecc.". Per un tratto non si può più continuare nella traduzione in prosa... "Cinquant'anni! Per essere scornato e ricevere un calcio nel sedere dall'uomo che vi disonora. È la gran bella età! - Sessant'anni. - Per crepare di quattrini, divenire un personaggio immondo, gesuita, putrido, classe dirigente, è la gran bella età! - Ottant'anni! Per essere completamente imbecille, avere la testa che dondola, e farsela nuovamente addosso, è la gran bella età...". - A me quello che piace di più è il seguente avviso - interruppe Goldi prendendo il giornale di mano al sindaco. - La comparsa del libro di Paolo Makalin, LE LEGGIADRE ATTRICI DI PARIGI, ha testè suggerito ad uno dei nostri più avveduti uomini di finanza il proposito di fondare una società in accomandita per l'estrazione del mercurio dai corpi di ballo e simili... - Questo è niente - rispose Geromino: - è il n. 11, anno I, di un giornale che morrà presto, come un fungo... il grido di disperazione corbellatrice degli ingegni abortiti o disgraziati e delle vocazioni spostate, che si incollano confondendosi in questo oceano di glutine parigino, dove nella calca mostruosa l'individuo è isolato, e il parroco smesso può fare senza rossore il vetturino, e l'avvocato e l'ingegnere, in mancanza di meglio, possono adattarsi tranquillamente a fare il cameriere d'albergo. Direi che c'è qualche cosa di nobile e di positivo, di forte, o per parlare più difficile, c'è qualche sentore d'aurora, d'ideale e di avvenire in questo orribile muoversi dei diseredati e dei calpestati, che mordono le calcagna a coloro che passano di sopra... Ma io trovo molto più lercio e più rivoltante il linguaggio di alcuni fra gli ingegni riusciti costituiti e dominanti. Prendiamo questo giornale illustrato, che ha sedici anni di vita fiorente, è l'organo della gente ammodo, è pieno di brio, di arguzia e di utilità pratica, e in una pagina sola di disegni ci fornisce un mondo di storia vera, istruttiva e divertente, la storia di una famiglia nobile dalle Crociate alla Esposizione dei formaggi. Orbene vediamo in quale prosa casca questo ammirabile giornale. Ecco qui a pag. 462: Consigli pratici ai forestieri. Ci descrive i quartieri delle disgraziate creature che pigliano addirittura il nome dal mondo intiero, loro clientela; ed esse non sono più le allegre Lisette di Béranger, le matte studentesse, le peccatrici dal cuore leggiero, le grisettes dall'anima di cardellino; ma sono le avide, le truculente, le mascherate cocottes, entomati, vibrioni, mangiatrici di denaro. Ci descrive il Quartier de l'Europe e poi le Quartier des Martyrs e dice: "Le castellane di questo quartiere si compiacciono estremamente del respirare aria fresca; e perciò fanno in accappatoio bianco delle lunghe pose alle finestre dei loro alloggi. Sarebbe perfettamente inutile l'accingersi ad una serenata per commuoverle... Non vi getterebbero di certo la scala di seta. Il meglio si è rivolgersi al portinaio. D'ordinario si trova la chiave sotto l'uscio; se non c'è, è meglio non insistere: - Chiuso per causa di occupazione...". - E questo birbone di giornalista, seguita in un modo, che ho rossore di seguitare a tradurre io... Ci descrive la sacerdotessa nella sacristia del suo abbigliatoio, e poi meglio ancora, quando la porta si apre, la tenda si solleva; e la sacerdotessa compare nel tempio fresca, fragorosa e olezzante; la soave capigliatura sparsa; e la grande persona drappeggiata in un vago velo di China, celeste o rosa, allacciato da capo a fondo da piccoli nodi di setino. Qui quel briccone di giornalista, che si potrebbe chiamare dantescamente galeotto, ci dà persino il manuale di conversazione con la solita traduzione inglese per i viaggiatori che sono stimati più danarosi: "Quelle étoffe soyeuse! - Ce peignoir s'agrafe jusqu'en haut. Ce sont des noeuds. Est?ce qu'ils peuvent se défaire? - ...Cette jarretière ne vous serre pas trop. En êtes?vous sûre? - Vos petits pieds sortant de ces pantoufles ont l'air de sortir d'un nid". E concede persino degli scherni placidi alla morale e alla filosofia: "Le moraliste s'en etonne. Le philosophe s'en afflige. Mais qu'y faire? (The moralist is astonished - The philosopher is sorrow. Can you help it?)". A questo punto il sindaco si rizzò in piedi, fregandosi il pugno negli occhi, quindi proruppe: - Ma se vi sono dei giornali che si intitolano dai Grandi Matrimoni, se vi è Le Trait d'union. Organo dei celibatarii e delle famiglie; domando io, perché questa prosa non potrà entrare in un Giornale Ufficiale delle Mondane, delle generose Morelliane...? Poi l'adirato Geromino si sedette nascondendo la faccia nelle mani. Pensò al suo villaggio, alla sua famiglia, alla sua sposa; pensò, che lo scrittore di quelle righe forse aveva anche lui una famiglia illibata in una città di provincia o in un castello, dentro la strombatura di una montagna. - Sì! Ed avrà una nonna bianca, veneranda, che sprofondata in un seggiolone a bracciuoli, con gli occhiali verdi sul naso, leggerà al chiarore casalingo dell'olio d'uliva i giornali dell'ultima posta cercandovi la notizia dei successi teatrali del figlio drammaturgo... Ed il figliuolo venuto qui, dove la foga della grande città annichila nella vita pubblica esterna i morali e santi ripostigli della divina famiglia, venuto qui, vittima inconscia del putridume, che lo ingoia, serve da letterario mezzano... Il sindaco fu di nuovo in piedi e agguantò pei bottoni il segretario vociandogli con una efferatezza di voce soffocata: - Ma vi sono dunque due leggi morali, e due razze d'uomini...? E una mia figlia potrà appartenere al sesso di quella sciagurata!... Una delle due: o noi siamo minchioni, o quelli non sono uomini, sono compagni di Sant'Antonio. Geromino era ricaduto sulla seggiola spossato; e si sarebbe detto che piangesse tacitamente. Pino Goldi si appigliò al solito partito da lui praticato, quando vede alcuno a piangere; accende il sigaro, perché, dice lui, non si vedano le sue lacrime di richiamo. Ma il sindaco non piangeva; onde Pino Goldi gli disse: - Caro mio, impara a conoscere il mondo, e piglialo come viene. E per istruirci di più, domani sera dobbiamo andare tutti al Mabille.

Ed in quel suo estro, sparando citazioni, motti, giudizi, l'oratore confortava gli accademici a rimanersene paghi della dotazione di 100 mila lire e del Campidoglio per tenervi le loro adunanze, e ricordando come agli uomini d'ingegno poco o nulla abbiano soccorso le Accademie, continuava: "...Mentre in Francia, in Germania ed in Inghilterra gli autori già ricevevano lucro decoroso dal pubblico, e da noi i pingui canonici accademici ottenevano stampati dalle tipografie regie i magni volumi, i cui fogli sono tagliati solo dai legatori di libri, Carlo Botta vendeva la sua Storia dell'Indipendenza d'America per pagare i medicinali della moglie; e per pubblicare la sua Storia d'Italia in continuazione a quella del Guicciardini, dovette ricorrere all'obolo di pochi sottoscrittori. A questi soli si deve, se il tipo della devozione patria eroica, il tipo di Pietro Micca sorse e raggiò in quella italica prosa sfolgorante". Ed il sidereo Filopanti a tuonare: bravo Faldella! mentre la Camera applaudiva, pur mantenendosi di parere contrario. E non valse all'oratore svolgere con moto lirico una nuova onda calda di pensieri: "Io mi esalto perfino ricordando che re Umberto e la regina Margherita distribuirono i premi ai Lincei, spettacolo forse più bello di quell'altro, dell'onorevole Quintino Sella, che fece alzare i Lincei in piedi all'arrivo del maresciallo Moltke, cui Rovani giudicò l'Attila del calcolo sublime. Tutti questi quadri, al pari di quello di Vittorio Amedeo che osservando la persistenza di un lumicino in una soffitta torinese vi scopre un povero studioso e lo converte nel ministro Bogino o al pari di quello di re Umberto che col ministro Baccelli si insediò alla scuola di sanscrito del professore Lignana nella Sapienza di Roma, tutti questi quadri per me sono degni non solo dell'"Illustrazione universale" dei fratelli Treves, ma del perenne mosaico... "A questo mondo non vi è nulla che più ci scaldi e rischiari la fronte e ci schiuda l'avvenire meglio della scienza... Ma facciamo altresì la scienza applicata in azione. Quei milioni che volete consacrare ad un palazzo inutile, diamoli all'igiene, alla spaziosa, luminosa viabilità che sono conquiste moderne". Ma la legge a malgrado di questo e di altrui discorsi, che la battevano in breccia, venne approvata; e nei giornali, che intesero male dall'alto della tribuna nella persona dei loro reporter, il Faldella venne tacciato poco meno che di barbaro analfabeta! Barbaro lui che si era persino lagnato, perché i famosi volumi, cui l'Accademia dei Lincei partorisce e stampa ogni anno con elevatissima spesa, giacessero intonsi nella biblioteca della Camera! Continuò per un pezzo lo scalpore contro la barbarie di Cimbro Faldella; però bisogna dire che quello scalpore non fu accolto dall'ingegno sensitivo, tenace ma equilibrato dell'illustre Sella. Questi forse fraintendendo il discorso per la distanza dell'oratore dal banco della Commissione, gli aveva bensì risposto con accesa eloquenza, come se il Faldella (ciò che non era) avesse preteso mandargli in malora la scienza e la lingua latina. Ma, cessato quel bollore, si dimostrò buon amico del Faldella, il quale testè in alcuni Ricordi necrologici del compianto grand'uomo raccontava a tale proposito sulla "Gazzetta piemontese" il seguente aneddoto: "Allorché alla Camera un giovine deputato con balda coscienza contrastò uno straordinario sussidio che credeva intempestivo per un palazzo all'Accademia dei Lincei prediletta del Sella, questi se ne risentì, rispondendogli oltre misura. Tale eloquente risentimento inspirò un facile poeta, che schiccherò lì per lì un sonetto e lo mandò al banco della Commissione, dove il Sella sedeva relatore della legge per il concorso edilizio a Roma. Ignoro se quel sonetto fosse semplicemente arguto, o spinoso, od attizzino, imperocché non lo lessi, né seppi il nome del poeta. Esso era certamente contro al giovane deputato. Il Sella, scorsi quei quattordici versi, li comunicò al suo vicino e collega della Commissione, l'on. Del Zio, il quale forse poco prima lo aveva intrattenuto sulla opportunità scientifica di pubblicare finalmente, magari con l'ausilio dei Lincei, il formidato e condannato Triregno del Giannone, tenuto troppo occulto nelle sole due copie superstiti conservate dalla Biblioteca nazionale di Napoli e dall'Archivio reale di Torino. "L'on. Del Zio, percorso alla sua volta il sonetto, immantinenti vi scrisse in calce il motto della Sand: "Non toccate le fronde giovani! " quindi restituì il fogliolino al Sella. Questi fu preso, quasi commosso dall'improvviso ricordo di quella sentenza; lacerò o mandò a riporsi il sonetto; e d'allora in poi non tralasciò occasione per attestare la più cordiale cortesia al giovine deputato statogli aperto contraddittore". No! Il Faldella non era stato barbaro. Egli fin da quell'occasione avrebbe potuto soggiungere ciò, che appena accennò poi incompletamente nel banchetto di Torino, cioè che le Accademie nido di gente arrivata, giubilazione degli ingegni, sono non solo le meno abili ad ogni nuova scoperta onde possa onorarsi lo spirito umano, ma soventi vi sono ostili. Esempio l'Accademia delle scienze di Francia a cui Napoleone I aveva mandata, per il parere, la memoria di Fulton che gli proponeva la navigazione a vapore. La grave Accademia, con dotta ilarità, rilasciava all'inventore una ufficiale patente di utopista. Altro esempio, se vuolsi guardare a tempi più lontani, l'Accademia di Salamanca. Essa insorgeva contro Cristoforo Colombo e lo dichiarava pazzo per la sua divinazione di nuove terre. Il Faldella tornò a parlare alla Camera nella tornata del 20 giugno 1881, allorché si discuteva la riforma elettorale, e vi sostenne strenuamente lo scrutinio di lista. Nel suo discorso non mancarono le originalità. Fra le altre per sostenere che l'allargamento del suffragio e lo scrutinio di lista avrebbero diminuite le corruzioni elettorali, egli uscì fuori a dire: "Nelle biografie dei grandi uomini politici dell'Inghilterra narrasi precisamente quanto essi hanno speso per la loro prima o seconda elezione. Si aggiunge di Beniamino Disraeli che una gentile signora gli suppeditò le copiose ghinee occorrenti perché gli fosse sbarrato l'arringo politico. E qui voglio l'onorevole Serena il quale oggi ha argutamente immaginato che Dante Alighieri non sarebbe eletto deputato collo scrutinio di lista. Onorevole Serena! Senza essere poeta sovrano, chi circonda il suo nome coll'aureola dell'arte, e si imprime nel pubblico con la sua potenza letteraria, ben può pretendere a quella notorietà, che è sufficiente per la riuscita nello scrutinio di lista. Oh! Dante Alighieri sarebbe un candidato sicuro nello scrutinio di lista. Per lo contrario io nutrirei i miei famosi dubbi per la sua riuscita nel collegio uninominale. Con tutto il fascio radioso del suo genio, il poeta resterebbe nella tromba, se rimanesse povero in canna, come è costume dei poeti, e se una pietosa dama non scendesse ad apprestargli le migliaia di lire, come fece la Ninfa Egeria all'autore dell'Endimione". E terminando il succoso e serrato suo discorso dichiarò: "È una voce falsa ma molto diffusa che noi ricusiamo lo scrutinio di lista per non sentenziare noi stessi a certa morte politica... Ma, signori, non lasciamo accreditare neppure materialmente quella voce col fatto di una votazione ostile. La storia darebbe certamente tristo giudizio di noi in paragone di quei Parlamenti e di quegli ordini rappresentativi che seppero fare innanzi al mondo nobili rinunzie. "La famosa assemblea nazionale francese, che dichiarò i diritti dell'uomo, interdisse, con zelo soverchio, a tutti i suoi membri la rielezione... "Negli ordini della Repubblica fiorentina era statuito che i magistrati scaduti non potessero rieleggersi salvo che trascorso un dato tempo. Questi insegnamenti non sono scevri di sapienza; indicandoci i benefici di avvicendare gli uomini alla cosa pubblica per evitare le cancrenose ambizioni e per usufruire ognora fresche e riposate virtù". Ma poscia l'oratore soggiunse: "Però il pericolo della sommersione nello scrutinio di lista ci sarà solo per me deputato novellino che devo molto ai vincoli di affetto paesano e di poesia domestica ecc.". E fu meno felice nella chiusa, poiché volle ostentare, un po' troppo, la sicurezza che lo scrutinio di lista dovesse riuscire letale alla sua rielezione. Lo Zanardelli, relatore dottissimo di quella legge, nella perorazione del suo splendido discorso pronunziato nella tornata del 21 giugno 1881 faceva onorevole menzione delle parole del Faldella dicendo: "Questo trionfo (della nuova legge elettorale) farà sì che nelle elezioni, come notò l'on. Crispi, siano veramente nazionali le gare; non solo assicurerà gli altri vantaggi, dei quali ho parlato: ma esso dimostrerà, come ieri disse con nobili parole l'onorevole Faldella, che noi possediamo una virtù, la quale nella vita pubblica vale da sola a riscattare molte colpe, l'oblio di noi stessi...". Nella sua vita parlamentare, Faldella preoccupato delle condizioni economiche del suo collegio per la scarsa viabilità, domandava e patrocinava due ponti sul Po, ed un altro sulla Dora Baltea; ed otteneva che una sua aggiunta venisse in parte accolta nella legge delle nuove opere stradali; e poscia nell'adunanza del 24 giugno 1882 pronunciava anche un discorso in favore della ferrovia Chivasso?Casale, accumulando argomenti vinicoli e strategici in favore di essa con vittoriosa mitraglia di parole assennate. Ma, ciò malgrado, venute le elezioni generali del 1882 con suffragio allargato e scrutinio di lista, egli come aveva preveduto, forse allora incredulo in se stesso, fu ripagato dai suoi elettori di una buona sconfitta. Ritornato alla tranquillità ridente del suo quieto villaggio, alla vita casalinga e raccolta; tornato alle sue contemplazioni e meditazioni, fuori del turbine affannoso della politica, che logora gli spiriti, egli riprese con maggiore intensità di lavoro i suoi studi; e poiché della politica gli durava il sapore acre, avendo poco prima delle ultime elezioni già pubblicato un volume della sua Salita a Montecitorio (1878?1882) col sottotitolo: Il paese di Montecitorio, Guida alpina di Cimbro, proseguì in quella via palpitante di passioni, e addensò pagine su pagine di politica artistica. E così pubblicò successivamente: I pezzi grossi (Scarpellate), I Caporioni (Profili), Dai fratelli Bandiera alla dissidenza (Cronaca), volumi che della Guida parlamentare sono il seguito galoppante. Siffatta opera, nella quale sotto nuovo aspetto mostravasi l'ingegno suo di cronista politico nella serenità e nell'argutezza critica dei giudizi - egli dedicava a Luigi Roux, ora deputato del Collegio di Cuneo, già direttore dell'Organo della Pentarchia, in allora soltanto direttore della "Gazzetta piemontese", e col Favale, editore dell'opera stessa che gli era intitolata. "Un giorno, gli scrisse il Faldella, il rustico autore di Un viaggio a Roma senza vedere il papa, Geromino, sindaco di Monticella, fu da te, dal tuo illustre predecessore e dai tuoi egregi colleghi, ghermito agli ozi campestri e letterari del suo villaggio e spinto alla batteria elettrica della corrispondenza giornalistica, egli nato per meditare e stintignare una pagina al mese... Ora spetta sovra tutto a te il sopportarne le conseguenze, accettando la cordiale dedicatoria di questo libro". Il concetto dell'opera è chiaramente reso manifesto nella lettera, colla quale gli Editori accompagnavano il secondo volume: I pezzi grossi. "Nel primo volume dell'opera l'autore, col titolo Il paese di Montecitorio, ha voluto dare, come si suol dire, una pittura dei luoghi, dove si svolgerà man mano l'opera medesima: dall'atrio del palazzo deputatesco agli uffici della segreteria, dalle sale della presidenza agli archivi, dagli ambulatori alla questura, dalla tribuna pubblica al banco dei ministri, il Faldella ha fatta una minuta descrizione della residenza del Parlamento animandola, come hanno bene avvertito i lettori di quel primo volume, coi ricordi storici che si addensano così gloriosamente affollati in quei luoghi, e coi profili dei personaggi che si incontrano ad ogni pietra di quel Paese. Compiuta così la descrizione dei luoghi, l'autore entra nella materia del secondo volume: I pezzi grossi, che sono estese fisiologie dei principali uomini politici. Seguito dei Pezzi grossi sarà il volume dei Caporioni. E siccome parecchi di questi appartennero al partito d'azione, parve opportuno all'autore di raggruppare intorno ad essi gli episodi più drammatici del nostro Risorgimento: onde uno speciale volume sarà la cronaca patriottica: Dai fratelli Bandiera alla dissidenza ed al trasformismo. Percorso il mondo parlamentare nelle sue cuspidi individuali, gioverà all'autore considerarlo nelle masse dei partiti, donde un volume sui partiti parlamentari ed un altro sui partiti extra?parlamentari, ed un altro ancora di Vedute e scene: e siccome dopo tanta vivisezione parlamentare è doveroso rendere omaggio alle tombe dei campioni della Camera, di cui è più recente il lutto, una parte dell'opera sarà Necropoli. E finalmente una parte sarà dedicata a quel ramo del Parlamento, dove in vigile riposo si archiviano i veterani dell'intelligenza, del censo, del patriottismo e delle maggiori cariche, donde un ultimo volume: Scorsa al Senato". A proposito di codesta Storia parlamentare che si disegna a linee larghe ed a tratti vigorosi, e si ispira a concetti elevati nella serenità degli schietti giudizi, - Nino Pettinati, elegante scrittore ligure?subalpino, con una venatura di anglosassone nel temperamento poiché di madre inglese, onde conserva nell'aspetto una gentilezza da Lord Byron sminuito, scrisse argutamente nella "Gazzetta letteraria" di Torino del 28 aprile 1883: "Alcuni che furono sin qui avvezzi a gustare e carezzare nel Faldella l'arguto pittore delle Figurine, l'umoristico narratore dei Viaggi a Roma e a Vienna, l'incisivo novelliere delle Rovine e recentissimamente il mesto romanziere del Serpe, veggendo oggidì il Faldella assumere la gravità e l'ufficio di questa Salita a Montecitorio ne restano sorpresi un poco e fors'anco dubbiosi di più. Generalmente parlando in Italia, da Brofferio, da Manzoni e da Cantù in poi, i letterati sono così poco storici e gli storici così poco letterati! Havvi - chieggono - nell'autore delle Conquiste la stoffa dello storico? e qualunque titolo abbiano i suoi lavori non saranno sempre romanzi? - Costoro a nostro avviso non hanno posto bene mente all'indole dell'ingegno del Faldella e non hanno seguite le fasi ch'esso ha traversato da qualche tempo in qua. Il Faldella è interessante novelliere, è vero, ed i suoi racconti hanno un'attrattiva non comune; ma bisogna pur riconoscere che la immaginativa e la novità non sono mai state le maggiori doti dei suoi lavori, sibbene la finezza dell'osservazione e l'acutezza delle rassomiglianze, le quali vincono di gran lunga in lui le qualità inventive. Come osservatore pochi superano il Faldella, e pochi del pari hanno maggior felicità nell'afferrare delle cose osservate le qualità caratteristiche, sviscerarne, per così dire, l'indole e il segreto, penetrarne l'essenza e riprodurle coi loro propri colori. Un autore moderno ha detto che difficilmente lo scrittore ed il lettore si capiscono bene, perché essi seguono strada inversa, vale a dire che lo scrittore va dal pensiero all'espressione, il lettore dall'espressione al pensiero. Al lettore di Faldella di rado è avvenuto di non comprendere la vita che spira dalle pagine di lui; imperocché il Faldella non arzigogola in espressioni soggettive e non getta mai il suo Io fra lo spettatore e i personaggi; ma per mezzo suo i personaggi medesimi si disegnano colle loro stesse azioni abilmente messe in luce. "In questa felicità di intuizione oggettiva unita ad uno stile quasi sempre incisivo e scultorio anche nella rappresentazione di sentimenti di minore importanza e talora anche ridevoli, in un desiderio continuo di curare dei personaggi e delle cose anche i menomi particolari e i tratti più fuggevoli, in uno studio continuo e zoliano di non dipartirsi dalla verità dei tipi quasi sempre imitati dalla vita reale, chi non riconosceva già nel Faldella le principali, se non tutte le qualità necessarie allo storico diligente e fedele? Ma abbiamo detto che bisogna pur tenere conto delle fasi che l'ingegno del Faldella ha traversate. Chi ignora infatti com'egli raccolto un dì nella mite atmosfera degli studi letterari campagnuoli, chiamato dipoi nelle officine giornalistiche a mirar più da vicino gli ingranaggi delle quotidiane vicende sociali, venisse in ultimo attratto nel grande agone parlamentare, rappresentante della Nazione egli stesso, e divenisse così testimonio e insieme attore del teatro politico contemporaneo? Allora l'ingegno dell'osservatore accurato, il fedele intuitore delle figure e dei caratteri, l'umorista flagellatore dei vizi in quel nuovo orizzonte si sentirono indubbiamente rafforzare: alla scarsezza della qualità inventiva suppliva largamente la realtà di tutti quelli obbiettivi veri e viventi; il poeta non doveva più tentar voli, ma bastava allo studioso di concentrarsi bene nelle ricerche e nelle osservazioni: l'estro dell'artista non aveva più bisogno di immaginare azioni e persone per sentirsi acceso a scattare in una artistica creazione: ma gli bastava appunto l'osservazione della realtà per iscoprire dove fossero il bello ed il buono artistico e far colla loro riproduzione un'opera d'arte. Così il passaggio dal romanziere allo storico si compiva; il poeta e il narratore non si elidevano, ma dandosi la mano si completavano; e l'autore delle Rovine veniva così alle assaggiature della Roma borgbese ed ora finalmente alla Salita di Montecitorio. E noi teniamo assai a far notare come nella nuova veste del Faldella storico non sia affatto cessato l'artista cui abbiamo applaudito sin qui, imperocché mentre quest'osservazione da un lato ci spiega la fase evolutiva del suo ingegno, dall'altro ci dà la chiave per bene intendere ed assaporare il suo lavoro storico che è di una caratteristica tutta speciale". Ed è vero. Siamo le mille miglia lontani dalla storia d'Italia dello Zini con quelle sue preziosità di frasi atticamente gravi, ma plumbee nella loro massa faticosa. Qui la storia è cronaca spigliata, allegra soventi, e a quando a quando, severa; severa nobilmente nelle elevazioni patriottiche, nei lampeggiamenti civili dell'epopea che fece la Nazione. Nel primo volume: Il paese di Montecitorio, vi è come la fisiologia del palazzo di Montecitorio, studiato in sé stesso, nei suoi abitanti, nei suoi frequentatori e negli ordinamenti amministrativi che regolano la vita politica e parlamentare dei rappresentanti della Nazione. Vi è arguzia, umorismo, ironia; a volta a volta, si illuminano medaglioni, miniati con amore, e frammenti scultorî a colpi audaci e vigorosi. Ne scattan fuori figure di letizia senile, come quelle dei veterani delle ardimentose insurrezioni per la libertà. Tali sono le figure del dott. Ripari e del vecchio bibliotecario della Camera Giovanni Scovazzi, fiero bandito di primo catalogo secondoché leggevasi in un numero della "Gazzetta piemontese" del 1833 che ne recava la condanna a morte unitamente alle condanne di Giuseppe Mazzini e Giovanni Ruffini. Tale è la figura dell'on. Del Zio il quale "ha una testa vigorosa di frate che dal castello di un campanile suoni a stormo e spari fucilate per una rivoluzione". Tale è la figura di Quirico Filopanti, l'amante universale, che si tolse nel 1873 il suo vero nome di Barrili; asceta pitagorico che vive spartanamente di acqua e di pane, e che "ci ha il giubbone nero, un po' roso, ma tuttavia pulito; ci ha il gran colletto bianco; ci ha le stelle in cielo, ci ha delle consolanti aspirazioni in testa; ci ha l'Italia a Roma; si tiene sicuro dell'avvenire nel nome del popolo e di Dio, ed egli è stoicamente felice". E via via, dalla biblioteca della Camera agli stalli dell'aula; dall'atrio del palazzo di Montecitorio alla Tribuna della stampa, a quelle della Corte, della diplomazia, della Presidenza e delle Signore; dal discorsino di esordio del deputato novellino, al discorsone ministro del deputato stagionato che porta tutta una sezione del museo di numismatica appesa alla catena dell'orologio; dalla sala di ricevimento al selce di Cordigliani ed alla rivoltella di Maccaluso; tutto vi passa intuito, scrutato, pennelleggiato con forza, verbalizzato con scrupolo. Ci si potranno bensì, qua e là, notare gonfiezze, superfluità, minuzie che rallentano, e deviano l'attenzione, stancano; ma sono mende che scompaiono in confronto delle numerose pagine ponderate, salde, elevate, concettose che interessano, svelandoci gli intimi congegni pei quali si muove, si agita e si manifesta nel lavoro legislativo la nostra rappresentanza nazionale. Nei Pezzi grossi, l'artista scalpellatore modella a mano a mano le figure di Domenico Farini, Marco Minghetti, Quintino Sella, Domenico Berti ed Agostino Depretis, intorno ai quali raggruppansi negli sfondi altre individualità minori, di più modesta indole. Lo studio sul Farini, che sale dolcemente a involgere tutta la famiglia dei Farini, riesce affettuoso, direi carezzevole, ed è fatto con schietta precisione, poiché l'autore è dirimpettaio di abitazione allo scalpellato personaggio nei silenzi campestri di Saluggia, dove l'ex presidente della Camera villeggia ogni anno fra le memorie venerate del padre, della madre e della nonna. Deboluccio, forse, lo studio sul Minghetti, quantunque questi vi sia considerato in due modi; come oratore, e poscia nella politica e nella storia. Assai bello e vigoroso invece quello su Quintino Sella, dove narra di re Umberto che ospite dei Sella nella Villa di S. Gerolamo nell'agosto del 1880, a preghiera del figliuolo sale a visitarne la madre, Rosa Sella, che per la grave età e la cagionevole salute non può scendere a inchinare Sua Maestà. Al Faldella erompe dall'anima una possente lirica aleggiante, generosamente patriottica, che sintetizza la rigenerazione della patria. Il filosofo di Cumiana, dall'aspetto prelatizio, Domenico Berti, evoluzionista per indole, è scrutato con acume. Ed Agostino Depretis coi suoi trenta e più anni di esperienza parlamentare e con tutto il suo bagaglio di uomo di Stato, bagaglio di pranzi politici, discorsi patriottici, programmi di Stradella e piacevolezze accorte di diplomatico magistrale - viene a sua volta anatomizzato con pazienza, ricercato nelle sue vigorie e nelle sue debolezze; viene scolpito e ritratto nelle pagine del libro in più pose; e tutte danno un magnifico padre guardiano; come l'emblema del tempo eterno che governa. Nel terzo volume della Salita a Montecitorio, I Caporioni profilati sono Cairoli e Zanardelli che tengono il campo con una cavalcata di eroi minori: Cairoli a cui l'autore inneggia come a patriotta, come a Bajardo: Cairoli discusso come Presidente dei ministri, nei suoi due ministeri; Zanardelli, dal vasto ingegno democratico, che come ministro dell'Interno si irrigidisce nelle sue convinzioni di larga libertà cittadina, si allarga nel mare magno della scienza giuridica col libro L'avvocatura, e si condensa con pazienza da benedettino nella dotta relazione per la riforma elettorale politica. Nel quarto volume, ultimo comparso della serie, cioè nella cronaca Dai fratelli Bandiera alla dissidenza, l'autore, risalendo alle prime imprese politiche che via via andarono preparando il trionfo della libertà e della nazionalità ed illustrando particolarmente la impresa audacissima del Pisacane a Sapri, scolpisce con felicità di esecuzione la figura violenta e generosa del Nicotera, lo ritrae con finitezza di tocco, nelle varie fasi della sua vita politica a impreveduti colpi di scena e di audacia. Vi studia le bizze fegatose dell'irrequietissimo agente di Cavour e storico d'Italia Giuseppe La Farina. Vi analizza il carattere metallico ed inflessibile di Francesco Crispi. E poscia ci presenta Agostino Bertani, patriotta saldo e antico, uomo politico rigido e fegatoso, dall'aspetto funereo, fatale; papa dell'estrema sinistra come lo sintetizza l'autore, Bertani ne appare dogmatico nei suoi discorsi alla Camera; vi appare quale uomo che stia sempre teso come un telescopio a guatare i misteri del futuro, o come Geremia profeta piagnucoloso quando prevedeva un'immensità di mali a Gerusalemme baldracca. E attorno attorno, le relative figure secondarie e terziarie, i paesaggi, gli sfondi, le prospettive aeree e terrestri che richiamano lo studio principale. Certamente nel corso di quest'opera, vasta e pensata, si avvertono mende, imperfezioni, giudizi non sempre a sufficienza comprovati dai fatti; ma è giustizia affermare che gli uomini politici, che ne formano maggior argomento, sono resi nel loro momento più caratteristico, tratteggiati a punto nelle manifestazioni loro più notevoli; e queste manifestazioni, coordinate all'azione politica generale. Gli aneddoti curiosi e nuovi abbondano; i giudizi pronunciati da altri autori su uomini e cose vengono raggruppati in modo da produrre l'effetto più notevole. Con questi volumi il Faldella ha provato chiaramente quanto opportunamente egli citasse nel suo programma l'opinione di Cicerone che opinava dovessero letterati e scienziati adoperarsi nella vita politica, per quanto lo acconsentiva loro l'ingegno, poiché si può adempiere agli obblighi di cittadino senza trascurare l'arte che li nobilita. Onde Nino Pettinati ebbe ragione di scrivere su tale proposito: "Si è detto sin qui, ed è diventata una frase fatta come tante altre, che in Italia la politica guasta i letterati e che il battesimo di Montecitorio è quasi l'estrema unzione degli scrittori. Faldella, che pure è stato un eccellente deputato come se lo sanno i suoi antichi elettori, è lì per ismentire la sciocca credenza. Il Faldella facendosi lo storico del nostro Parlamento contemporaneo ha dimostrato come oggidì la politica e l'arte in Italia sono più vicine che mai a fondersi e compenetrarsi: egli, continuando il grave incarico a cui si è sobbarcato, sta per provare come oggidì la nostra letteratura non ha più bisogno di pascersi di soli ideali e di astratti desideri per sentirsi ispirata, ed ispirando a sua volta, adempiere la sua missione civile. Questa missione letteraria, della quale si fa campione il Faldella, si ravvisa nel continuo dramma della vita quotidiana, nei giornalieri episodi del paese moderno che s'agita, che lavora, che dimanda, che progredisce; e a questa missione sentono di adempiere egualmente l'uomo politico che arringa generosamente dai banchi parlamentari, e l'artista scrittore che chiuso nel romito della sua stanza raccoglie nella storia l'eco di quelle arringhe e le riscalda al fuoco dell'arte riformatrice". Nel 1881, il Faldella aveva iniziata, coi tipi dei Roux e Favale la pubblicazione di Un serpe, quello stroncato nel "Fanfulla"; e al primo volume: Idillio a tavola, seguirono, a mano a mano, il Consulto medico e la Giustizia del mondo, uscita di recente, che suggella il ciclo delle Storielle in giro. Questa trilogia, nonostante la festività della forma, il brio dello stile e le spumeggiature esilaranti delle frasi, come in ogni altra opera dell'autore, - ha un fondo largo di mestizia, lascia a poco a poco ed inconsciamente filtrare nell'animo del lettore uno scoraggiamento funereo; segnatamente nell'ultimo volume vi è un'allegria che sa di pianto. L'azione semplice, improntata d'un forte carattere di verità, si svolge dapprima a Scozzeringo, soleggiato e ridente villaggio monferrino; si prosegue a Torino, Firenze, Roma, e si queta come per un filosofico ricorso storico, nell'iniziale villaggio. Vi è studiata e ritratta con evidenza ammirabile la vita del villaggio; le passioni che in esso si accendono per minuzie a cagione dell'orizzonte ristretto e della mancanza di ampi sbocchi alla fermentazione fisiologica, vi salgono e ribollono intuite, analizzate maestrevolmente. I personaggi scattano vivi e solidi in gran parte, come il dottore Giannozzi, Battistina sua figliuola, il conte senatore Baudone, l'arciprete Don Lanterna ecc. Altri sono alquanto indeterminati, come la diafana Rosilde, figliuola del conte, che pare una gentile figurina d'alabastro, scesa da un acquasantiere. Il dottorino Tristano Clessidra, il bieco figliuolo di nessuno, che una vampa d'odio consuma ed illividisce, quegli che dà il titolo vischioso alla trilogia, non è forse il personaggio meglio reso; non pare sia sempre estremamente vero. Vi è un che di artificioso nei suoi atti improvvisi ed eccessivi, segnatamente nella Giustizia del mondo, i quali atti male corrispondono alle premesse del suo carattere: le superano per gli effetti. Egli gioisce troppo della sua abbiezione morale, gustando la voluttà acre del fango; troppo si compiace di avvelenare la felicità altrui, per solo desiderio del male, poiché non vi è nessun interesse proprio che lo muova; troppo chiaro egli vede in sé stesso, poiché con manifesta ostentazione si diletta soverchiamente a porre sopra i suoi giornali?libelli il marchio di un titolo come: Il Serpe ? La Vipera ecc. I bricconi non ammettono mai di esser tali; si sarebbe quasi tentati a credere che il dottorino abbia letto anche lui il titolo Un serpe che raggruppa i tre volumi, e siasi ingegnato per quanto poteva a giustificarlo. E la vita giornalistica, i retroscena politici dove domina il magno commendator Nevone; dove si scorge il profilo carezzevole di una di quelle tali profumate, che con vocabolo di sensualismo moderno ora si dicono le orizzontali, pare anche sentano alquanto di manierismo. Bisogna dire che l'autore, quando ne scrisse, non avesse pur avuta occasione di analizzare e cogliere dal vero, come è suo costume, le misteriosità della vita nei grandi centri mondani e politici. Altro appunto che pure egli si merita assai è quello dei nomi che usa. Soventi essi frizzano troppo la caricatura, e ricordano assai quelli umoristici del teatro piemontese. E quando non vogliono essere una caricatura, pare cerchino di esprimere anticipatamente il carattere della persona che li porta. In questi volumi il dottorino si chiama Tristano, perché è un briccone; sua madre si chiama per antonomasia la signora Orrenda, perché bruttissima; il conte senatore, perché grasso, naturalmente ha un nome che per questa sola ragione suona come un otre: Baudone; don Lanterna, l'arciprete, ha la grazia di questo nome, perché l'autore gli destinava una statura da corazziere o da tamburo maggiore; e, mancomale, lo speziale si chiama Pasticca: il nome meno medicinale che l'autore gli poteva dare, secondo il suo sistema. Così via via. I nomi sono una grande difficoltà, ma se ne deve aver cura, poiché la verosimiglianza loro ringagliardisce l'effetto, e rende più veri i personaggi. Onde il Faldella dovrebbe seguire, a preferenza, il sistema del Balzac, il quale - come è noto - andava copiando dalle insegne delle botteghe i nomi che gli occorrevano per la sua grandiosa Commedia umana. Ma a parte ciò; a parte talune scene troppo accentuate, troppo colorite, vi sono, in codesta trilogia, pagine d'una freschezza e d'una verità insuperabili, vive scenette di villaggio rese a perfezione, nelle quali alita un che di umorismo incosciente; come quando il flebotomo Clementino Riondella, messo alla porta dal dottor Giannozzi, cui era andato a domandare audacemente la mano della figliuola, trovandosi vestito da guardia nazionale per la solennità, pensa alla maestrina Cornelia. - Clementino pensò: "Tanto Battistina non può essere mia! tanto bisogna cambiare... E cambiare adesso come di qui a poco, tanto fa... Ora sono già vestito! Perché dovrei vestirmi un'altra volta? Perché dovrei sciupare l'acconciatura? Poi il regno di una buona moglie è in cucina... e Cornelia è una imperatrice in cucina... E poi me lo ha suggerito il medico stesso, il padre di Battistína... "Così ragionando fece fronte in dietro". E entrò dalla maestra, che cucinava, la quale "staccatasi dal fornello gli corse incontro". "Aveva il viso di bragia, i capelli zingareschi, il labbro inferiore morescamente rovesciato, l'occhio giudaico. "Era una ragazza capace di cogliere un marito al volo e di imbullettare un ragazzo alla sua prima freddura. "Clementino si pose la mano destra alla visiera del kepì, e si avanzò verso Cornelia con passo militare. Essa ritrosì di pari passo, dicendogli: "- Spettacolo! "E poi: - Ah! bricconcello di un cerusichino! Ha proprio il buon tempo che lo incalza. Sentiamo un po', che cosa è venuto a fare da me il signor capitano? "Clementino senza levare la mano dalla visiera fece bocca da ridere e rispose: "- Sono venuto da lei, signora maestra, a vedere se ha da vendermi dei lupini... "A quelle parole la maestra, con smanceria vergognosetta portò l'avambraccio sugli occhi: ninnò il suo personcino e disse: "Birichino di un cerusichino!... "E faceva più volteggiamenti che parole: sollevò il suo grembiule, e con esso ventilò, sfiorò il volto di Clementino, il quale montava su, su, in excelsis, in visibilio. Egli finì con l'afferrare le due mani di Cornelia, che fingevano stracca riluttanza, le serrò in un mucchietto dentro le sue palme, e poi, ondulando la bocca nel desiderio aereo di un bacio e musicando sottilmente la voce, disse: "- Cornelia? Dunque sì? "- Si...ì si...ì! - rispose Cornelia, strascicando un sibilo come lo zeffiro. - Si...ì. - E buttò indietro la capigliatura mora?zingaresca, che discese vorticosamente a invaderle le spalle; e spalancò l'occhio giudaico verso il soffitto. "Le braciuole scoppiettavano al fuoco dentro la maiolica di Castellamonte: e sprizzavano zaffate colme di un profumo da far mangiare i morti. Furono l'incenso, il tiamo ed il cinnamomo di una promessa nuziale". (Per capire l'entratura dei lupini, occorre notare che in taluni paesi del Piemonte l'ambasciata per la visita ad una ragazza da marito si comincia col pretesto, che si è venuti a vedere, se ci sono dei lupini a vendere.) La narrazione del consulto medico, la lotta scientifica fra il vecchio medico dell'antica scuola, ed il novello dottorino di scuola recentissima, è stupenda; seguono paesaggi di una freschezza inimitabile, scene di campagna che par di vedere veramente, quadretti resi con zelo, con scrupolo da pittore fiammingo; onde G. De Abate, in un sonetto che dedicò di recente all'autore sulla "Gazzetta letteraria" di Torino, ebbe ragione di dire di lui: "Egli è il Michetti delle mie pianure". Non importa per la definizione che le scene del consulto siano sulle colline del Monferrato; imperocché il Faldella si è manifestato pittore da bosco e da riviera, da pianura e da collina. Nei volumi del nostro paesista vi è - come dice Giacinto Stiavelli, che trova nel Faldella un investigatore profondissimo delle cose, uno stilista accurato e brioso come nessun altro - vi è da raccogliere una fiorita, la più olezzante, di osservazioni fine, profonde o bizzarre, quali le seguenti. "Le ragazze che amano si sentono pesare a loro stesse, e non possono muovere con disinvoltura le loro persone. Esse portano dentro loro degli universi. L'amore inchioda loro il cuore; e tutto il lecchetto del mondo restante non potrebbe più farle muovere e correre con vivezza. "...L'amore, anche turato bene, può durare incarcerato un estate, due estati, sette estati; ma ce ne viene poi uno così caldo e veemente che l'amore fa saltare il tappo e schizza via". L'azione, senza troppi aggrovigliamenti, è interessante, perché vi palpita veramente la vita, e si svolge via via, con inflessibile logica di disgrazie, che sono sempre la grande parte dell'esistenza; onde, attraverso l'allegria della forma, si sente un largo fondo di mestizia che sale fino a invadere tutto nella chiusa: Rassegna funebre. In quest'ultima parte, a beneficio della contessina Rosilde, ideale bellezza da Immacolata Concezione, angiolo diafano che si immalinconisce senza pur lo strascico di un marito degno di sublimarla a maternità, si ingemma un sonetto di Giovanni Camerana, "poeta austero, smagliante e profondo"; sonetto inedito per una Madonna nera, ispirato forse dal Nome di Maria del Manzoni, ma che olezza d'uno schietto sentimento di devozione campagnuola: Ave Maria, che dalla nicchia d'oro Nella rigida tua veste ingemmata, Negra in viso, ma bella, ascolti il coro, L'ingenuo coro della pia borgata. Ave Maria, di stelle incoronata, Curvo e triste nell'ombra io pur t'imploro; La valle imbruna, è il fin della giornata, Coi mandrian dell'Alpe io pur ti adoro. Tu che salvi dall'ira del torrente, Tu azzurra visïon nell'uragano, Tu ospizio fra le nevi ardue, tu olente Aura, in che orror mi affondo, in che agonia, L'onta, il ribrezzo, il gran buio crescente, Tu lo sai, tu lo vedi; - ave, Maria. E questo sonetto che la pia e mesta contessina ingioiellava "nel suo aureo libro di devozione alla pagina delle litanie della Vergine" finiva per essere imparato a mente anche dal confessore di lei, l'arciprete don Lanterna - una delle più riuscite figure del romanzo. - Egli "trovava densa di grandiosità quell'invocazione bisognosa di fede che negli abissi della noia e dell'angoscia accomuna al povero contadinello l'artista, l'erudito, il ricco; vera dimostrazione del gran circolo più che cristiano, umano, più che umano, psicologico, spirituale". E concludeva: "La più sincera estrinsecazione della fede si è la carità: unica speranza, unica promessa di letizia". Tutto sommato la trilogia del Faldella riesce uno dei più notevoli, robusti e sani lavori che siansi, in tal genere di letteratura, pubblicati in questi ultimi tempi: è un lavoro donde spira un potente alito di verità, e la cui lettura, mesta dopo tutto, fa aleggiare il pensiero in alti orizzonti con più intensa avidità del bene. Ma la Giustizia del mondo, quantunque ultimo volume che sia apparso del Faldella, non è il suo scritto più recente; nel 1882 la Casa Editrice di Angelo Sommaruga pubblicava in Roma colla consueta ed arrischiata sua eleganza di formato, di caratteri e di fregi, pubblicava di lui: Roma borghese. Assaggiature, opera pensata e scritta assai tempo dopo il Serpe, e che ora tocca già alla sua seconda edizione. Codeste assaggiature si riannodano, nel concetto, al Viaggio di Geromino a Roma; e l'autore ci annunzia già che verranno seguite da altri studi sullo stesso argomento. Lo scopo di tale studio ce lo rivela l'autore nella prefazione al volume; prefazione che ha intitolata: Interno ragionamento per un'opera completa. "...io avrei proprio in mente di intraprendere un lavoro che non fosse perfettamente inutile, un lavoro su Roma borghese (la chiamerei così, non per omaggio alla principesca famiglia di tal nome, ma per antitesi a Roma pretina, volendo dire Roma borghese per dire Roma secolarizzata; lo capisce un cretino). "Nel mio lavoro vorrei raggruppare e fondere tutte le mie osservazioni fatte in un quattrennio filato di corrispondente giornalistico alla "Gazzetta piemontese". La presente condizione storica di Roma è riguardevolissima, perché unica nella storia. Imperocché la città che da due millenni e mezzo ne ha già viste e fatte tante, non è mai stata quale è oggi: diventata capitale della libera nazione italiana, e rimasta capitale del mondo cattolico; monarchica, e munita di molta licenza dai superiori per le pubblicazioni e le dicerie più rivoluzionarie". Con questi intendimenti, egli ci ha dati quattro saggi notevolissimi. Il primo, Colonie buzzurre, è la fisiologia dei quartieri alti di Roma nuova, fatta con felicità di tocco, da acquarellista innamorato: "I quartieri nuovi dell'alta Roma si accampano come una consolazione, un rimprovero e un insegnamento a certi quartieri della bassa Roma confusi, addossati, lerci, affatto ciechi o neppure leccati dal sole, ricchi di pulci; acciocché anch'essi si lascino saettare dai dardi e rinsanguare dai rivi di vita nuova. "I gruppi delle nuove vie intitolate alle battaglie e agli assedi più belli del Risorgimento nazionale (Goito, Pastrengo, Palestro, San Martino, Gaeta) o nei nomi valorosi di Casa Savoia (Carlo Alberto, Vittorio Emanuele, Umberto, Amedeo,) o in quelli insigni e benemeriti di Cavour, Farini, Mazzini ecc. si contrappongono ai gruppi delle vecchie vie coi titoli imbruttiti di santi (San Stefano del Cacco, Santa Maria in... Cacaberis) o con quelli dei più umili mestieri (sediari, canestrati, chiavari, coronari), o con quelli degli stranieri Avignonesi, Portoghesi, Greci, Aragonesi, Spagnuoli ecc.". L'autore rende, con fresca vena di umorismo, l'interno di talune famiglie d'impiegati piemontesi dalle rendite sottili e dalle bocche numerose e voraci, che meditano e rimeditano, col bilancio alla mano, la spesa di un soldo, quale era appunto la famiglia Berleris: "Tutti gli otto bambini, avviluppati in un lusso di tovaglioli intorno al collo, pranzavano con un solo uovo lessato col guscio (a la greuja). Scocciato sulla punta, si piantava nell'ovarolo o nella saliera, in mezzo alla tavola. I bambini, per ordine di età, vi intingevano il pane grissino dentro. Una volta, Emanuele, il più piccino e più birichino, sprofondò due volte di seguito nell'ovo il suo grissino; e la mamma, spiritata, gridò: - Guarda che 't chërpe. Bada che scoppi!". E Faldella prosegue cesellando squisitamente, per finire con uno slancio lirico, augurando la fusione dei vari tipi italiani in nuove ebbrezze di forza e d'amore, colla speranza che "crescano figli forti e illuminati, che congiungano gli esempi di Furio Camillo e di Camillo Cavour, di Pietro Micca, di Cola da Rienzi e di Ferruccio...". Così, sognando con epico sentimento di patria rigenerata, gli par di vedere "le statue equestri di Emanuele Filiberto e di Marco Aurelio camminare di conserva e passare sotto il futuro grand'arco di Vittorio Emanuele, glorioso come quelli di Settimio Severo, di Tito e di Costantino". Il secondo studio intitolasi L'Arcadia, e nella prima parte è divertentissimo. L'autore incamminandosi la sera del 7 marzo 1880 verso il Serbatoio dell'Arcadia romana (palazzo Altemps) credeva "di dover scendere in iscavi" a ritrovare e "ricostruire una bellezza di mondo antico, il mondo metastasiano del Settecento, delle villanelle artificiali, srugginite, merlettate, profumate, incipriate, scollacciate, e palpitanti nei tiepidi avorii, e dei pastorelli di ciccia prelatizia, le zazzere mantecate, le facce rosse e lisce come pesche nocciuole, l'alito di rosolio, e i fruscianti codazzi serici di porpora o di viola: il mondo di Amarilli e di Mirtillo, di Corisca ed Ergasto, di Dorinda e di Dameta, di Fillide e di Elpino, di Aurisba e di Comante ecc.". Egli descrivendo la sala affollata del serbatoio ha fatto un quadro ammirabile, degno del pennello di Ruysdael. "In fondo della sala c'è una galleria per il pubblico di minor conto, come a dire seminaristi e pedine, mogli e figliuole dei maggiordomi clericali, parrucchieri, tonsori delle chieriche; nella platea fittamente insediati abatini di primo canto, abatoni, domenicani dal collo ingrassato nel bianco scapolare, facce tonde di minori o nulla osservanti, cappuccini austeri, asciutti, colle palpebre soccallate, la barba che lista il petto, ambe le mani sul rialzo delle ginocchia accavallate; nelle sedie chiuse un canestrone di canonici, monsignori, prelati lustri inzuppati di rigoglio come frutte mature, mozzette violacee a iosa, una fiera di vescovi e arcivescovi, e finalmente nei seggioloni d'orchestra una mezza serqua e più di cardinali: Alimonda, Meglia, Davanzo, Pecci, Pellegrini ecc., dal rosso zucchetto sigillato sulla cervice come un'ostia da lettere". Quindi, pennelleggiate sempre con vigoria di colorito, sfilano le moderne pastorelle appetitose che rendono gli occhi lustri ai seminaristi; sfilano turgide nella descrizione del Bosco Parrasio, ricetto estivo sul Gianicolo; ma il bozzetto così spigliato nella mossa ed in tutta la prima parte, si impiomba sul fine in una stanchezza improvvisa, ed avvizzisce in un sermone che l'autore volle fare a giustificazione presente e passata della belante ed infiocchettata Accademia. Viene poscia nel volume La morte di un giornalista, e sono pagine commoventi dedicate a Salvatore Farina, che narrano con forte e pietoso sentimento di fraterna amicizia la morte di Roberto Sacchetti, l'autore di Cesare Mariani, di Tenda e castello, Castello e cascina, Candaule, ed Entusiasmi; l'amico ed il confortatore di Praga, del quale continuò le Memorie del Presbiterio, ultimandole e dettandone pochi giorni prima di morire, dal letto, la prefazione. Roberto Sacchetti "consumatosi nella lotta" era venuto a Roma quale corrispondente ordinario della "Piemontese", quando il Faldella assidevasi in Montecitorio, ed i due amici continuarono fraternamente la loro vita di giornalisti; ma la morte doveva abbattere d'improvviso il Sacchetti nella pienezza della sua gagliardia intellettuale; il lavoro eccessivo, a cui si condannava, lo aveva prostrato. Il Faldella lo ha ritratto stupendamente con squisitezza di tocco: "Sacchetti era silenzioso. Davanti alle prime impressioni, egli non era espansivo: raccoglieva, filtrava, assimilava... guardava fissamente mutolo coi suoi occhi orientali e colle tempie rosse e secche. Diventava poi espansivo parlando e scrivendo, quando si trovava nel secondo periodo di riferire le cose mentalmente elaborate, digerite... "Allora eterizzava, elettrizzava, polarizzava, magnetizzava, fecondava, completava le impressioni sue ed anche quelle sentite da altri". E più oltre, quando narra degli ultimi momenti del povero artista, l'autore ha un'elevazione gagliarda nella mestizia, che turba profondamente l'animo: "Eravamo nella camera io, il domestico di Mora, un selvaggio della campagna romana, e la giovane portinaia, Isolina, una Ofelia toscana. "Mi ricordo, come di una visione, dell'apparizione d'una giovane signora, sconosciuta, forse una compagna di collegio di qualche signora parente di Sacchetti, la quale le aveva telegrafato per quell'ufficio di misericordiosa assistenza. "Quella signora elegante, esile e bella, con un collo sottile che pareva un gambo di fiore, fu l'ultima coraggiosa infermiera che si curvò sul letto dell'ammalato. "Egli, che conservava forse il sentimento estetico, se ne dimostrava negli occhi contento, come all'apparizione di un angelo al suo capezzale di morte... e interrogava me collo sguardo, quasi per saperne il nome. Le sue mani, l'una nelle mie mani, e l'altra nelle mani della signora, brancicavano con soddisfazione di pace; sopravvenivano telegrammi che mi invitavano a baciarlo. Lo baciai sulla fronte...". E Roberto Sacchetti passò serenamente. Vien quarto ed ultimo assaggio di Roma borghese, Un viaggiatore piemontese, il quale è nientemeno che il capitano Celso Cesare Moreno, celebre nei due mondi e speciale martello, per qualche tempo, del giornalismo italiano, uomo di merito e di azione dopo tutto, tipo da capitan Dodero, o da viaggio straordinario di Jules Verne, tipo che il Faldella ha studiato e pennelleggiato con vivacità ed energia nel suo gustoso studio. Nello scrivere queste assaggiature il Faldella tenne certo a mente il consiglio di Giosuè Carducci; l'aria circola frizzante a ravvivare i periodi; vi è minor affastellamento di colori, quindi il colorito è più discernibile e vivace; e l'originalità dello scrittore vi appare più salda nella sapiente parsimonia dei vocaboli scelti con più acume, disposti con più misura; onde un effetto più intenso. Lo scrittore, via via, si è venuto facendo meno arzigogolato e più elaboratamente individuale; cosicché la sua potenzialità è maggiore. Infatti il lettore meglio si assimila le sue idee, e più nette scorge le cose che egli rende con frase immaginosa e nuova. Faldella usa sempre largamente i paragoni, e questa è una sua ricchezza, poiché per mezzo dei paragoni si pone in evidenza il nesso arcano che collega tutto, uomini e cose, ogni più varia manifestazione in una colossale ed eloquente parentela. Certo non sempre le immagini sono esatte; e per voler troppo rappresentare a volte egli si sforza, falla il segno, fa sorgere una nebbia di frasi sulle cose, o si confonde in pieno barocco; allora ne vengono fuori certi suoi periodi che molti giornali si compiacquero a porre in evidenza, tacendone quelli di bellezza tersa e cristallina: ne vengono fuori trovate di questa sorta: "La signorina Battistina, con le mani ìncrocicchiate sui ginocchi, con il busto leggermente penzolo come statua della fiducia in Dio, o come colomba che stesse per pigliare il volo, con un sorriso da cherubino sul bottone delle labbra e gli occhi bucati da tagli di diamante, annuiva, applaudiva ecc.". E quest'altra: "L'arciprete si fregò le mani, e poi, ripostosi un dito nella fossetta della gola, fece dei nastri per la stanza". Forse sarebbe stato più chiaro, più esatto dire che faceva la spola per la stanza, ché dei nastri non ne lasciava davvero. Questa frase fare dei nastri, per il passeggiare lungamente e ripetutamente nello stesso luogo, che si dice pure fare le volte del leone in gabbia, quantunque sia una frase adoperata dal Giusti nell'Epistolario e da Edmondo De Amicis e sia usitatissima in Toscana, specialmente a Pescia, che ha una piazza lunga e stretta, dove la gente va a fare i così detti nastri, è una frase che mi sa di tenia. E la frase dialettale monferrina "dormir sodo come una ripa" ha una pretesa omerica senza fondamento. Ad ogni modo, come ebbe a scrivere Théophile Gautier in Fortunio, ogni montagna suppone una vallata, come una torre suppone un pozzo; né si può avere l'altezza siderea senza la profondità equivalente. E un artista indipendente, come il Faldella, che colla squisitezza di un temperamento eccezionale ritrae colla penna il mondo da lui osservato ed intuito; e lo rende colle sensazioni genuine che gli sorgono spontaneamente ed improvvise nell'animo e nella mente, subisce inevitabili prostrazioni tanto maggiori quanto più è affinato il suo senso artistico. Ed in quelle prostrazioni inconsce, pur producendo immagini per la ressa delle idee, egli deve necessariamente riuscire meno felice e meno efficace. E fors'anco, segnatamente nei suoi primi lavori, per la foga che gli prese di ingolfarvi dentro una quantità di piemontesismi, di frasi scelte e di modi di dire classici, di proverbi locali, senza badare se ne meritassero l'alto onore, o se fossero locuzioni già corrotte destinate a sparire dall'uso, o a restringersi in una limitata cerchia vitale, accadde che molte parti dei suoi lavori rimasero incomprensibili dalla maggioranza dei lettori; e quindi affette da una tal quale paralisi progressiva. Ma il suo stile si è col tempo forbito, si è fatto più lucido, quindi dà più facili effetti, talché gli aumentano ogni giorno i lettori; i quali, fatta la bocca, mordono con festevolezza avida, nel frutto un po' agretto ma sano, ma tonico. Ed ora, anche oltre le immani ondulazioni dell'Atlantico, egli conta lettori; poiché, di recente, un immenso giornale americano ha pubblicato un succoso studio su di lui. "Una gentile signora, - ricorda Nino Pettinati - artista essa stessa, paragonava testè i libri del Faldella a certe musiche tedesche. A primo udirle - essa scriveva - e specialmente per chi non v'abbia l'orecchio un poco avvezzo, sembra che riescano soverchiamente affollate di note, di astruserie, di piccinerie, talora persino di stonature e di caricature. Ma poi riudendole bene si comincia a sentire che sotto tutto quell'avviluppo la melodia si svolge piana, dolce, ineffabilmente espressiva, e alla fine quando si cerca un modo di semplificarle, queste musiche, ci si accorge che ognuna di quelle note, di quelle astruserie, di quelle stonature è la melodia medesima...". Paragone signorile codesto, che esprime con fínezza di gusto artistico, l'effetto che veramente fanno le pagine dello scrittore piemontese. Sul finire dello scorso anno 1883, nell'affermarsi della Pentarchia politica in opposizione al Patriarcato di Stradella, il Faldella, invitato specialmente da Giuseppe Zanardelli e dal Roux, si risolvette ad essere collaboratore straordinario del nuovo giornale di opposizione diretto dal predetto deputato Roux "La Tribuna". Lo si vide allora ricomparire a Roma a meriggiare sul Corso, tranquillo osservatore ed investigatore della via; a furettare appassionatamente in mezzo a bibliotecari stagionati e preti tabaccosi, tra i libri vecchi, tarlati, ammonticchiati il mercoledì sui banchi di Campo di Fiori, come in ogni ricettacolo di carte stampate; lo si vide extra muros a passeggiare serenamente riflessivo fra ruderi venerandi insieme con amichevoli ed eleganti compagnie. Ma nella "Tribuna" egli scrisse pochissimi articoli politici; a quando a quando vi pubblicava invece pensati articoli di arte, riviste, studi letterari, sociali; così vi scrisse con acume di Flaubert, con finezza di Sbarbaro, con intendimenti filosofici del carnevale, con elevatezza di concetti e di giudizi in morte di Francesco De Sanctis ecc. Poscia d'un tratto sparve, e si seppe che, avido di paesaggio e di sole, era corso a rifugiarsi nel suo villaggio. Giovanni Faldella è di mezzana statura e di robusta complessione; ha testa forte, voluminosa, fronte ampia, pallida, vigorosa, da pensatore; capigliatura violenta, foltissima a ondulazioni castane, occhi miopi ceruli, d'una dolcezza femminea, i quali, come quelli del Daudet, vedono tutto e tutti, soccorsi dalla concavità delle lenti; ha naso dritto, accentuato, guance colorite dalla salute, baffi e barba d'un color alquanto più chiaro dei capelli: una barbetta "appuntata e lunghetta che ricorda il profilo degli antichi mitologici protettori delle selve, grandi adoratori di profumi campestri, di gradazioni di tinte verdi, di succhi d'erba, di rezzi e di boschi intricati" come scrisse di lui il nomade, fertile, audace e geniale poeta socialista lombardo Fernando Fontana. Fra le curve morbide dei baffi si scorgono soventi le sue labbra rosee a schiudersi ad un sorriso buono. Ha indole quieta ma capace di scatti improvvisi che tosto si posano; cammina sollecito, e lietamente contento della vita che lo accarezza, e dell'arte che gli procura profonde, intense ed intime soddisfazioni. Chiacchiera volontieri, con abbandono fiducioso, ed è espansivo cogli amici intimi, colora le frasi a rapidi tocchi, con smaglianti pennellate di parole immaginose, e rifugge dalle noie, da ogni lavoro che non torni armonico alla sua indole libera, alle sue tendenze intellettuali. Sente profondamente l'amicizia, e ne diede ampia ed affettuosa prova nell'assistenza che fece, con altri amici, al povero Roberto Sacchetti agonizzante; simpatizza vivamente per i caduti, per quanti soccombono alle strette della necessità, pur avendo ingegno, ma che non trovano la loro via; per quanti si ribellano alle pressioni ed ai freni artificiosi della esistenza, alle ingiustizie elevate soventi a dignità di legge, dimostrando in tal guisa di essere qualche cosa, una individualità che abborre dall'assorbimento e dallo scoloramento. E sovrattutto egli ama gli spazi ampi all'aria aperta, ossigenata, le linee quiete e grandiose della campagna che baciano l'immensità azzurrina del cielo. Nella sua Saluggia, egli vagabonda osservando e meditando. E nella pace fruttifera della sua camera da lavoro, fra gli alti scaffali che salgono, densi di volumi antichi e moderni, ad intonacare le pareti, fra il silenzio alto che gli è necessario, appena ombrato dalla gaia pispilloria degli uccelli fra gli alberi, egli accatasta le sue nitide cartelle, miniando, con serena coscienza di artista, le idee che gli si affollano festosamente in capo, facendo rivivere le cose studiate con amore, i paesaggi ed i costumi contadini che analizza con estrema finezza, e le scene tormentose dei grandi centri, nei quali si è tuffato come l'ape operosa nel fiore a raccogliere l'essenza mellifera. Ed a Saluggia egli ha composto i suoi migliori lavori, forse perché l'ingegno suo si fa più potentemente produttore sotto l'alito carezzevole della mamma venerata, che in lui giustamente s'inorgoglisce; sotto l'azione della parola tonica, altamente onesta del padre suo, buon vecchio dalla vita intemerata, medico dotto e benefico del suo paesello del quale fu sindaco sin dal Regno di Carlo Alberto, amico caro a Luigi Carlo Farini, con cui faticò eroicamente per combattere il colera in quelle terre, uomo di ingegno aperto e vivace, al quale solo una modestia eccessiva e l'amore ineffabile della casa, della famiglia e del villaggio tolsero di rendersi più largamente noto prendendo più intensamente parte alla vita pubblica. Ed in quel mite e dolce ambiente patriarcale Giovanni Faldella, ormai nella piena virilità del suo forte ingegno, che assurge spiccatamente fra gli ingegni più vigorosi ed originali dei nostri giorni, ci potrà dare nuove opere improntate a gagliardia di concetti e ad elevatezza di intenti, nella schietta rappresentazione della vita. CARLO ROLFI Roma, aprile 1884.

ABRAKADABRA STORIA DELL'AVVENIRE

676074
Ghislanzoni, Antonio 3 occorrenze
  • 1884
  • Prima edizione completa di A. BRIGOLA e C. EDITORI
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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«Tanto mi tengo in debito di affermare ai presenti ed ai lontani, e non dubito punto che le mie parole abbiano a trovar fede presso gli onesti di qualunque partito. L'EX PROPOSTO BERRETTA». - Nobili parole, degne del suo gran cuore! - esclama, tergendosi le lagrime, un meneghino, che il giorno innanzi avea spedita al Gran Proposto la sua cartolina di ostracismo Volgiamoci all'altro proclama, e vediamo con quali formole il Capo di Sorveglianza annunzii la propria dimissione: «Cittadini ladri, truffatori, manutengoli, barattieri, furfanti d'ogni specie che costituite la maggioranza della Società umana: «Esultate! Ciò che era nei vostri voti si è compiuto; la dimissione di sua Eccellenza Riveritissima il Gran Proposto Terzo Berretta implica necessariamente la mia. «Il benemerito dicastero di sorveglianza pubblica rimarrà per uno o più giorni senza capo. «Cittadini ladri, truffatori e furfanti di ogni specie, esultate! ve lo ripeto. E frattanto, i pochi galantuomini - se è pur vero che ve ne abbiano, ciò che a me non consta positivamente - badino alle loro tasche ed alle serrature dei loro forzieri! «Il mio successore, entrando in carica, vedrà che durante la mia gestione tutto ha proceduto con ordine e con giustizia. Con quale accortezza e tenacità io abbia lottato per oltre venti anni contro la ribalderia umana, apparirà evidentemente dai registri e dai tesseri che io lasciai negli uffizii. Se non che - lo confesso con immenso rammarico - in questi ultimi tempi la mia e l'attività indomabile de' miei subalterni riuscì in molti casi impotente. Già da oltre mezzo secolo, quei nostri famigerati utopisti che ripetevano la frequenza dei crimini dall'analfabetismo delle masse, hanno dovuto convincersi che l'istruzione universale ha quadruplicato il numero dei falsarii e dei ricattatori. Più tardi, la scienza medica e farmaceutica appresa a tutti indistintamente i cittadini della Unione, moltiplicò gli avvelenatori e gli assassinî domestici. Le locomotive aeree agevolarono le contumacie dei bricconi e favorirono la impunità. La sistemazione e applicazione pratica delle forze magnetiche produsse abbominazioni che fanno inorridire. «A questi, sempre crescenti ausiliarii della iniquità e della corruzione, i governi opposero una resistenza in fino ad oggi abbastanza efficace. Nelle nostre mani le nuove armi fornite dal progresso alla depravazione ed alla colpa divennero una forza riparatrice. La nostra sorveglianza dalla terra e dal mare si estese alle amplissime regioni dell'aria. Abbiamo non pochi esempi di grandi ed audacissimi malfattori, catturati dai nostri agenti a poca distanza dalla luna. «Ma qual pro' da questa caccia affannosa e piena di pericoli? Noi inseguiamo il calabrone malefico, lo afferriamo, lo rechiamo trionfanti, esultanti, sul banco della giustizia, acciò questa si prenda il bel spasso di aprirci il pugno per ridonare il captivo al libero esercizio de' suoi perfidi talenti. «Tante grazie, signori riformatori del Codice penale! ... Ma non vi par tempo di finirla con questa buffoneria che si chiama il Ministero di Sorveglianza pubblica? A che serve lo inseguire, il catturare dei delinquenti, mentre alla giustizia più non rimane alcun serio mezzo di punizione? «Nei secoli addietro, allorquando a migliaia a migliaia i galantuomini, o dirò meglio, gli impregiudicati, morivano di fame, un cotal Beccaria finse di intenerirsi sulla sorte degli assassini appiccati alla forca. Tutti i filosofi dell'epoca fecero eco alla nenia, e la canaglia (ciò si comprende) proclamò il Beccaria altamente benemerito della Società umana. «La pena di morte venne col tempo abolita; tanto è vero che tutte le idee, anche le più strane e più esiziali, seguono il loro corso di rotazione e a lungo andare si traducono in fatto. I briganti, gli aggressori di strada, gli avvelenatori, i parricidi arsero dei ceri alla statua grottesta di Beccaria(23).

- L'altra sera, conversando con maestro Umbold quarto io gli ho proposto la questione se sia presumibile che nel secolo passato i fiori avessero colori, fragranza od altra proprietà che in oggi non hanno; non potendo io concepire come i nostri avi abbiano potuto deliziarsi nel fetore dei loro tabacchi! - Le leggi di natura sono immutabili - mi rispose il maestro - perché sono perfette. Ai nostri padri come a noi la primavera offeriva ogni anno le sue rose olezzanti, i ligustri, le viole, i gelsomini ... Il profumo del bene esalava dai campi, si spandeva nell'aria e penetrava nelle cose dell'uomo, per adescarlo a seguire il buon cammino - e l'uomo aspirava l'infezione del tabacco, e si avvelenava il sangue e l'intelletto coll'absinzio e coll'acquavite. - E credi tu, Viola, che a quei tempi esistesse la santa virtù che si chiama l'amore? - Io credo che l'amore abbia sempre esistito nel mondo - e che a lui si debba ogni sviluppo delle umane perfezioni. Io mi sento orgogliosa di essere donna - perché ritengo che, nei barbari tempi dell'abbrutimento universale, la donna abbia sempre conservata e alimentata la favilla della carità. Quando tutte le case erano ammorbate di tabacco, e tutti gli uomini imbestialiti nella crapula, o peggio ancora, mummificati dall'egoismo, o fatti macchina dalla cupidigia dell'oro - tutta la poesia del creato si rifugiava nel cuore di poche donne, angioli predestinati al martirio, che viveano per amare e morivano per aver troppo amato. - Oh! io non avrei potuto amare quei rozzi e balordi animali d'allora - disse Fidelia ridendo. - Ti giuro, o sorella, che se io fossi vissuta nel secolo scorso, piuttosto che lasciarmi baciare da un uomo ... Che orrore! Uomini che all'età di trent'anni non avevano più denti in bocca, né capelli sulla nuca! Questa ingenua sortita di Fidelia portava la conversazione sopra un tema favorito. Ragionando di quella misteriosa e gentile aspirazione dei giovani cuori, di quel bisogno imperioso dei sensi che è l'amore, le tre donne divennero eloquenti.

Il mondo ha dovuto convincersi che disuguaglianza di condizioni non può esistere dove tutti abbiano raggiunto l'uguale sviluppo di civiltà. L'uomo che pensa non può essere il volontario dell'aratro. La scienza conquistava gli intelletti, le braccia disertavano dal campo. La reazione del 1835 si provò di respingere alla gleba gli spiriti ribelli, ma si riconobbe impotente. I paria si emanciparono. L'Europa tremò del futuro - l'umanità tutta intera ebbe a dubitare della propria conservazione. L'agricoltura è una necessità della esistenza umana - l'agricoltura è dunque un dovere di ciascun uomo. Questo assioma sociale arresterà il disastro minacciato. La coscrizione agraria prenderà il posto della coscrizione militare. Dai venti ai venticinque anni, per legge del nuovo Statuto, ciascun individuo della Unione sarà coltivatore. Vanno esenti dalla coscrizione gli impotenti ai lavori manuali, e gli Eletti dell'intelligenza A questi ultimi, di numero assai limitato, lo Statuto accorda l'esenzione per rispetto ai privilegi del genio. Godremo più tardi l'imponente e giocondo spettacolo di un campo di coscritti. Vedremo come la vegetazione si avvantaggi da questa nuova coltura operata da braccia vigorose e intelligenti. I cinque anni di agraria sono pei contadini dell'Unione, i più felici, i più caramente ricordati nella vita. Qual differenza fra l'antica e la nuova circoscrizione! Questa destinata a fecondare la terra, a portarvi la salute e il ben'essere; quell'altra condannata a distruggersi distruggendo, al soldo di una idea non compresa o ripugnante! I lavori campestri sono un esercizio riparatore pel giovane estenuato dalle lunghe fatiche della mente. Lo Statuto dell'Unione, accordando a tutti i cittadini i mezzi di esistenza a patto che lavorino, pretende altresì che tutti sappiano. Ma il sapere non è facile conquista - non lo fu mai - oggi meno che mai. Eccovi, brevemente tracciato, il programma degli studi obbligatorii a ciascun individuo dell'Unione. La lingua cosmica è la sola adottata nel pubblico insegnamento. Fra pochi anni lo studio di questa lingua sarà molto semplificato. Purchè i padri e le madri si facciano scrupolo di parlarla in famiglia a tutto rigore di grammatica e di stile, i figliuoli la apprenderanno naturalmente, si risparmierà il tempo e la noia degli esercizii scolastici. Ma i padri e le madri, nel 1977, risentono un poco dell'antica barbarie. La lingua cosmica non ha peranco distrutti gli antichi dialetti, e a Milano si odono ancora dei vecchi sessagenarii ricambiarsi il loro meneghino con qualche pretesa di municipalismo. Lo studio della lingua cosmica fa dunque parte del programma scolastico. Il fanciullo l'apprende dai cinque ai sette anni. A otto anni egli ne sa quanto basta per comporre i suoi temi in prosa ed in versi, e sostenere un dibattimento improvvisato dalla cattedra di eloquenza. Poichè tutta Europa parla in lingua cosmica, ne viene di conseguenza che lo studio d'altre lingue si rende superfluo. Se l'Asia o l'America vorranno intendersela coll'Unione converrà bene che apprendano a parlare come noi. Questa massima vanitosamente praticata dai francesi in epoca più remota, oggi è all'ordine del giorno in Europa. Ciò fa sperare che fra un altro mezzo secolo la lingua cosmica diverrà praticamente la lingua di tutti. Dagli otto ai quindici anni - il tempo che i barbari del secolo precedente sprecavano nel latino e nel greco - oggi viene impiegato negli studi matematici e filosofici, nella storia, nella fisica, nella astronomia, nella geologia, e nella spiritodossia, di cui fa parte il magnetismo, il galvanismo animale, e l'ipoteticonia. Grulli, grullissimi i nostri nonni, che si ebetizzavano dieci anni a imparare una lingua morta, per non averne più traccia cinque anni dopo! Ma venti volte più grulli, e pazzamente spietati, quando alla povera vittima del Ginnasio e del Liceo, inesperta dei propri talenti, della propria individualità, imponevano la scelta indeclinabile delle quattro professioni universitarie - la medicina, la farmacia, le matematiche, o il diritto! Forse che ciascun uomo non è tenuto a conoscere le leggi del proprio paese, i diritti e gli obblighi che gli insegnino a governarsi, a tutelare i propri interessi? E la scienza della economia animale, dell'organismo umano, non è forse un bisogno di tutti? Come può l'uomo provvedere alla propria conservazione, alla igiene propria, esercitare la beneficenza e l'amore verso i congiunti e le persone più care, quando non sia in grado di applicare opportunamente i pochi trovati dell'arte farmaceutica? ... E la matematica? Potete voi reggervi sulla persona, camminare, muovere un passo - che dico? - affidarvi ad un consiglio della ragione, se questa scienza non vi presti il suo appoggio e la sua logica? Or bene: dopo un corso regolare nella Università della Unione, all'età di venti anni, ciascun cittadino è giurisperito, medico, farmacista, ingegnere, architetto e magnetizzatore. Vale a dire: egli conosce delle singole scienze quanto può occorrergli per l'uso proprio e pel servigio altrui. Le Università della Unione vi danno l'uomo completo l'uomo che basta a sè stesso, che a tutti può giovare. Nel secolo gaglioffo del latino e del greco, chi avesse osato proporre un tale programma di studii universitarii si sarebbe buscato dell'utopista, del matto! Eppure, a quei tempi, uno studente, purchè si ricordasse di sfogliare il suo testo una settimana innanzi all'esame, apprendeva in poche ore tutta la scienza medica o legale di un intero anno scolastico. Che vuol dir ciò? Vuol dire che i professori di quell'epoca diluivano in otto mesi di insegnamento la scienza aquisibile in poche ore. Vi pare inverosimile che, dopo cinque mesi di studi patologici e chimici e dopo altrettanti mesi di clinica pratica, un giovane di buona volontà sappia conoscere le febbri al moto del polso, e sia in grado di comporre una purga, di forare la vena per un salasso, di strappare un molare o una mascella? Eppure, i grandi dottori del secolo precedente non erano più illuminati nè più pratici. Ma il massimo torto dei metodi antichi era di insegnare le scienze ab origine discutendo i vari sistemi, raffrontando, eliminando, riproducendo tutte le ipotesi e tutti gli assurdi, pel gusto di confutarli e di agglomerare nei cervelli una erudizione, al meno danno, superflua. Che m'importa di Giustiziano e delle Pandette? - fatemi conoscere il mio codice, i miei doveri e i miei diritti! ne saprò abbastanza per l'uso mio, ed anche un poco per l'uso degli altri. - In medicina, riepilogate il buono degli antichi, e i risultati positivi delle esperienze più recenti. In una parola: dateci la scienza dei tempi nostri, la sua ultima parola. Più tardi, per lusso, per capriccio di erudizione, consulterò le Pandette, o leggerò il vecchio Ippocrate. Così ragiona il secolo nuovo - su questa logica si basa il nuovo programma degli studi universitari. I giovani, che in un ramo speciale della quadrupla scienza, dimostreranno una attitudine fuori della comune; gli Eletti della Intelligenza godranno la esenzione dalla legge agraria, e a spese della Famiglia verranno mantenuti per altri cinque anni in qualche Ateneo di perfezionamento Ivi, sotto la scorta dei più illustri Primati si applicheranno al più ampio svolgimento della scienza preferita, per divenire più tardi Medici consulenti Legali di ricorso o Ingegneri di miracolo Meno questi pochi eletti, tutti gli altri escono dalla Università per divenire coscritti dell'agro. Ivi si completano con esercizii corporali molto favorevoli alla salute ed alla vigoria. Mi sono un po' dilungato sul metodo di educazione, perchè da quello vi sarà facile argomentare il grado di civiltà generale. Come vedete, i carichi della Famiglia sono gravi e dispendiosi, ma i proventi, le rendite sono enormi. Oltre ai prodotti naturali delle terre, che esclusivamente le appartengono, la Famiglia percepisce le imposte sul lusso le multe criminali e gli accidenti ereditarii Le multe criminali costituiscono per la famiglia una sorgente di reddito importantissimo. Desse furono sostituite, nel nuovo codice, alla pena di reclusione. Una volta abolita la pena di morte, dietro il principio che l'uomo non ha diritto per qualsivoglia ragione di togliere la vita al proprio simile; come potreste mantenere l'inumana condanna della carcerazione, per cui il cittadino è privato della libertà, diritto sacro del pari e forse più inviolabile del diritto di esistenza? Alla morte civile supremo castigo dei grandi delinquenti, nel Codice di redenzione si coordinano gradatamente le multe criminali. Per comprendere queste multe è mestieri ricorrere alle leggi che provvedono al diritto di esistenza. Ciascun cittadino della Unione, nato da legale matrimonio, viene, dal giorno di sua nascita, iscritto nel libro di famiglia, e da questa iscrizione ha principio l'assegno di vita I genitori, o chi per essi, ritirano l'assegno fino a quando il fanciullo abbia toccato l'età gestiente, vale a dire ch'egli sia in grado di governarsi. Raggiunta questa età - dodici anni - l'adulto percepisce direttamente il proprio assegno. La Famiglia gli fornisce l'alloggio, il mantenimento, l'uniforme, e una somma di cento lussi (franchi) all'anno, fino al compimento del corso universitario. La posta lettere, le strade ferrate, i vapori di mare, tutti i mezzi di trasporto sono gratuiti, ad eccezione dei palloni aereostatici, delle navi sottomarine, e delle locomotive a ribalzo. Il popolo ha libero accesso in tutti i teatri di prosa, direttamente amministrati e sorvegliati dal Consiglio di Famiglia. Sospendete questi provvedimenti, queste agevolezze, questi comodi, questi piaceri al cittadino che ha mancato a' suoi doveri verso la società - ecco un eccellente codice di punizione! Cento lussi! ... Ah! voi non potete apprezzare il valore di cento lussi per un nullatenente, per un povero diavolo che non abbia risorse fuori della piccola pensione che gli viene pagata dalla famiglia! Figuratevi la disperazione di un borsaiuolo, quando, alla scadenza del suo premio, udrà la voce del pubblico tesoriere gridargli alla coscienza: - il tribunale ha posto il veto su' tuoi cento lussi per il battizza che hai fatto sparire, per la catena che ti sei appropriato! Procedete dai minori ai maggiori delitti, applicate le pene in proporzione. Sospendete il premio de' cento lussi, vietate l'ingresso ai teatri, negate il trasporto sulle ferrovie, su tutti i veicoli della Unione, diminuite l'assegno necessario, salite di grado in grado alla più terribile delle punizioni, alla morte civile. Voi avrete una idea generica, ma precisa del nuovo codice criminale. Però anche in queste leggi tanto provvide e benefiche, apparisce, a chi ben le consideri, lo stigmate inevitabile della umana imperfezione. Perchè esclusi dal benefizio di esistenza i nati da unione illegittima? Forse hanno colpa i miserelli della loro origine meno legale? Non hanno diritto alla vita? I dottori dell'epoca vi rispondono: - la eccezione si è fatta per ristabilire e generalizzare il matrimonio, orribilmente screditato nel secolo precedente. Sotto questo aspetto, è mestieri confessarlo, legge più efficace non potevasi ideare. E perchè l'uniforme obbligatoria agli adulti che percepiscono l'assegno di famiglia - Una misura economica basata sull'orgoglio umano. Non accordandosi l'assegno agli adulti che a patto di indossare la uniforme del nullatenente, molti si asterranno per vergogna, e penseranno a guadagnarsi l'esistenza col lavoro. Ma i poveretti che moriranno di inedia piuttosto che far mostra della loro miseria? E i ricchi sfrontati che indosseranno la livrea per vivere a spese altrui? - Meno male che la Legge ereditaria restringerà, fino a renderlo impercettibile, il numero degli accumulatori e degli usurai. Ma di questa legge, e d'altre importantissime, come di tutti i progressi giganteschi delle scienze, delle arti e delle industrie, si vedranno manifestamente gli effetti, quando al breve accenno delle istituzioni seguiranno le storie del fatto. L'anno 1977, da cui appunto principiano queste storie, presenterebbe l'apogeo del moto saliente dell'epoca. L'ordine pubblico, la pace, la moralità, il sentimento umanitario e religioso diffuso in tutte le classi e perfettamente armonizzante colla intelligenza e col sapere, il rapido succedersi delle scoperte, la pronta effettuazione di ogni idea veramente utile, gli incredibili ardimenti del genio, e l'impotente cooperazione di tutte le forze animate e materiali che si associano per tradurli in fatto, ci obbligherebbero a chiamar questo il vero secolo d'oro, l'era preconizzata della felicità universale, se ... Questo se è il punto nero di tutti i tempi, di tutte le storie umane. Noi lo vedremo disegnarsi, prender corpo, agitarsi nella nuova epoca, mischiarsi a tutte le sue aspirazioni, a tutte le sue feste, a' suoi trionfi, per gridarle eternamente: «il secolo peggiore e il secolo migliore per l'umanità non esistono!» Ma prima che si rivelino i dolori latenti, illudiamoci ancora un istante su questa superficie di bene.

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