il formatore in gesso, il quale, non c’è che dire, appagherà la ragione.
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iscoraggirsi nel bene. Ma dove la città stessa non basta a porgere un sufficiente alimento alle arti del bello, non c’è istituto artificiale il quale possa
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’altro diceva all’improvviso, e c’era chi ascoltava e chi faceva all’amore. Il giardino pareva fresco, e gli uomini parevano lieti. Ma per disgrazia il
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mancano i confronti, le occasioni al fare, le discussioni energiche e aperte, l’orizzonte si va di mano in mano abbassando, e non c’è nè splendore di
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un vecchio bianco e barbuto, in cui c’era un riflesso di qualcuna tra le virtù del Tintoretto. E ci rammentiamo d’aver veduto dello stesso pittore due
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, ha visto l'arte nuova fuori della sua città, e se n’è innamorato. Che male c’è egli se qualcuno de’ suoi lavori rammenta il modo di questo o di quell
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Ma su codesta poesia è necessario che c’intendiamo. Figuriamoci di essere in tre: voi, lettore, io e Sempronio: voi siete gaio, io mesto, Sempronio
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arrovesciate, le quali si guardano e si toccano all’alto, e spesso piantano su due mezzi C, senza dire che tra queste S e questi C v’è sovente un
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Entrammo, tempo addietro, nella bottega di uno scarpellino a Verona. C’era un giovinotto coi capelli rabuffati e in maniche di camicia, il quale con
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In codesta Verona c’è di tutto: dall’Arena, degna sorella del Colosseo, dal teatro, dagli archi romani sino alla maestà severa e pur serena della
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C’è, fra gli altri, quattro giovani scultori a Firenze, che non sono di primo pelo: ingegni, quale più, quale meno, singolari e degni di essere
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: in quello svegliarsi c’è come il resto di un sogno candidamente amoroso, come la promessa di un fervido bacio puro. I muscoli, i tendini, i nervi
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, personificando troppo l’idea, avrebbero indirizzato la mente dello spettatore ad un ordine angusto e disgustoso di considerazioni. C’è l’altezza e la
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c’è dubbio che avrebbe ripetuto con più agrezza per la figura le storte parole, che scrisse per il paesaggio: « La scuola realista è un’invenzione che
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il disegno di un leone, similissimo a quei mostri che sorreggono sul dorso le colonne delle nostre antiche chiese lombarde. Indovinate che cosa c’è
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dall'Andran, non c’è paragone: fiori, ghirlande, un pavone all’alto con le sue gaie penne variopinte, putti ridenti, animali, tutto eseguito meno
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Queste cose a Milano c’è poco eccitamento a pensarle, tanto la mostra è povera di oggetti contemporanei. V’è qualche saggio di mobili, alcuni secchi
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Qualcosina c’è invece della vecchia arte toscana ne’ minuti tentativi dei giovani fiorentini: il vedere la natura schiettamente, ma con una certa
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I pittori nuovi in che cosa si somigliano mai? Chi lo sa? E pure ne’ loro quadri si sente alitare uno spirito contemporaneo: c’è come il soffio di un
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Concludiamo: arte italiana non c’è. A scoprire un indirizzo nuovo bisogna ficcare gli occhi addentro qua e là, e non iscoraggirsi dei disinganni. I
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. C’è molto artificio; ma si sente che quell’artifizio è naturale all’animo del pittore, e per ciò reca la idea fervida del vero. Ma questi due
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ardimenti giovanili. Che si pensi questo di noi, od altro, non c’importa un bel nulla. Il Cremona ci piace e il Grandi no, ecco; ma non ci cureremmo di
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compassate sentenze del raziocinio. Ma c’è il rimedio: dopo ripensata cioè l’opera, che s’è vista, riconfrontarla materialmente con la propria idea
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Questo è il pubblico di Salvator Rosa, e questo è Salvator Rosa davvero. Ma c’è di quelli che avrebbero voluto vedere una specie di Tasso o di
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di giovani un indirizzo nuovo e comune? C’è egli un fine, una idea, una maniera, che congiunga insieme più artisti? Dalla critica parziale, noiosa, è
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. Ci sono de’ buoni artisti, degli artisti eccellenti; ma una vera arte lombarda, matura o novella, non c’è. Un fatto però ne sembra molto notevole
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ramoscelli diversi. C’è il pittore d’istorie, quello di cose famigliari, quello di ritratti, quello di paesi, quello di marine, quello di prospettive
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Dall’altra parte la rappresentazione della natura ha certe esigenze bizzarre. Non c’è scultore che ignori come in una figura ritta, vestita in abito
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Spesso, combattendo, il pittore soccombe; ed allora tutti gli danno addosso e si fan beffe di lui. Non c’è pittore dei nuovi, che finisca sul vero
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. C’era dunque « un povero ciabattiere, il quale era uomo di santa vita, e l’occhio ch’egli aveva meno perdè, che calzando una bella cristiana gli
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, questa pagina de’ Ricordi di Marco Aurelio dipinge al vivo una delle smanie dell’arte nuova. E non c’è nessuna probabilità che nella china dove s’è
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, ma, salvo poche, di ben corta esistenza. Poi, o i nostri occhi vedono male, o nei nudi delle nostre figure c’è la carne che palpita, c’è la epidermide
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i plasticatori docili modellano con garbo graziosissime cose. Così c’è chi alza l’arte al monumento, e chi alza l’industria all’arte.
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che uno ci deve mettere, consiste l’ideale del colore in sè. Ma mentre per il disegno c’è la fotografia, che ne dà la conferma, per la plastica il
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di nazionalità e l’influenza della tradizione. Eppure se ne trovano alcune traccie qua e là. C’è, per esempio, il carattere della vecchia arte tedesca
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scrupolo anche ai morti. C’è molti quadri del sapiente e forte Troyon, pittore che alza alla dignità dell’arte maggiore il paesaggio, le pecore, i ciuchi
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una stanza per fondo; del Meissonier, di cui c’è a Vienna de’ quadrettini ottimi, ma uno grande, non finito, che non giova punto alla fama dell’autore
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azzurro, mostrava fiori dipinti e meandri. Il guidatore, cantando, scoppiettava la frusta. Dentro c’erano tre guardie di Questura dinanzi, tre carabinieri
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Non c’è più il sentimento greco della grazia fina, che gli abitatori di Pompei, di Ercolano e delle altre città eleganti sapevano mettere con tanta
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Pozzuoli, Procida, Ischia dall’una parte, e Castellamare e Sorrento e Capri dall’altra si adornano al cadere del sole. C’è delle delicatezze nitide, le
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, così poco affatturato che sembra in alcune parti scomposto e vuoto, c’è non ostante un sì quieto sentimento di semplice realtà lagrimosa, che, guardando
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ruffianesche, niente leccature di marmi zuccherini, niente capricci o fole o aggraziature. La grazia, se qualche volta c’è, sembra quasi restìa.
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di via, mi disse: « Vedi, c’è in me qualcosa ancora del monello e dello scolaro. La mia indole non è mutata da quarant’anni a questa parte. Vorrei
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Ma se c’è uomo, il quale non sia mai uscito dalle consuete leggi sociali, non abbia mai tentato di, sovrapporsi alla nazione e al suo secolo, nè
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cosa non bella può all’incontro aver stile. Dove c’è stile c’è vita, c’è originalità, perchè c’è l’anima dell’artista; c’è verità, perchè c’è la
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e non direbbe abbastanza. Tutti i sentimenti, anzi tutte le infinite gradazioni dei sentimenti si possono suscitare con l’arte. C’è una sola cosa, che
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lati, quello di San Paternian e quello della Cortesia; a destra c’è una palazzina nuova in cui la Ca’ d’Oro pare ridotta a gabbietta da uccelli; di
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della fame, mentre non c’era più carne, non c’era più vino, non c’era quasi più nulla; e si mangiava il pane con l’ottanta per cento di segala, nella
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non aver più da mangiare. Consumato l’ultimo pane non c’è più la fame, ma la morte. Il giorno che non avessimo più pane noi, non l’avrebbe più neanche
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, ne’ miracoli dei santi, nelle Madonne, ne’ Cristi si sente il risplendore delle sontuose e pittoresche feste veneziane: c’è qualcosa dello sposalizio
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