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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
La patologia dell'atto processuale: indirizzi sostanziali vs legalità formale
Fra i temi processuali che meriterebbero una qualche riflessione, alla luce di una certa cesura tra le impostazioni dottrinali e le più recenti correnti giurisprudenziali, si annovera quello delle sanzioni dell'atto processuale. Tutta ritagliata all'interno delle grandi categorie della nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e abnormità, la materia, dopo l'impegno, peraltro non assoluto, profuso sul piano della codificazione dal legislatore del 1988, pare muoversi entro percorsi esegetici non sempre omogenei e, talvolta, assolutamente divergenti dal testo normativo. Accanto ad una dottrina maggioritaria propensa ad identificare nei principi di legalità, tipicità e tassatività la cornice entro la quale porre e risolvere ogni questione applicativa che abbia ad oggetto quei vizi, si colloca una giurisprudenza, che, in maniera più pragmatica, si indirizza verso criteri sostanziali. Sotto tale profilo, si registra, infatti, il prevalere di impostazioni capaci di superare o ritenere sanata la violazione in ragione di parametri quali il conseguimento dello scopo o il difetto (o la minima) offensività della trasgressione, estranei e contrastanti, tuttavia, con i caratteri di un ordinamento che ha condivisibilmente operato la scelta di assegnare al solo legislatore l'individuazione delle patologie rilevanti e del consequenziale regime trattamentale.