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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
La Corte ed il gratuito patrocinio tra recenti innovazioni normative ed immutate preclusioni giurisprudenziali
Con l'ordinanza n. 186/2002 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile una questione relativa agli artt. 1 e 12 l. 217/1990, nella parte in cui tali articoli non estendevano il beneficio del patrocinio a spese dello Stato al di fuori dei giudizi penali e civili connessi a reati, e quindi determinavano - nell'opinione del giudice rimettente - un'irragionevole disparità di trattamento tra il difensore del non abbiente nel procedimento penale ed il difensore del non abbiente nel procedimento civile per la separazione personale dei coniugi, dato che quest'ultimo viene nominato sulla base del r.d. 3282/1923, e dunque non riceve, a differenza del collega, alcun compenso per l'opera prestata. La Consulta, più in particolare, si rifiutava di adottare la (richiesta) pronuncia additiva ricordando le molteplici diversità di disciplina che esistono tra la legge del 1990 ed il regio decreto del 1923. E concludendo, pertanto, che "l'unificazione degli istituti volti a dare attuazione all'art. 24 comma 3 Cost. non può avvenire mediante sentenze della Corte intese a far trasmigrare singole disposizioni da un sistema all'altro, ma postula", piuttosto, "una radicale riforma alla quale solo il legislatore può attendere". Sennonché, da un lato, non appare convincente, nell'opinione dell'A., l'argomento utilizzato dal giudice delle leggi onde evitare di scendere nel merito della questione sottoposta al suo sindacato. Dato che, se ben si considera - e come riconosce, del resto, la stessa Consulta nella parte finale della sua motivazione - era già stata adottata, in materia, una nuova disciplina, che estendeva, tra l'altro, il patrocinio a spese dello Stato a tutti i procedimenti civili che già non ricadevano nella sfera di applicazione della l. 217/1990 ( si tratta della l. 134/2001), sicché la Corte, molto semplicemente, avrebbe potuto richiamarsi a tele disciplina onde indicare, al giudice, i riferimenti normativi necessari per rendere concretamente applicabile un'eventuale pronuncia additiva che si fosse limitata ad accogliere il dubbio prospettato dal giudice a quo. Nel merito, poi, l'A. sottolinea come la "quaestio sub iudice" apparisse fondata. Dato che la medesima attività professionale riceveva un trattamento nettamente diversificato, senza che tale diversità di disciplina potesse dirsi (costituzionalmente) giustificata sulla base di differenze sostanziali tra le due fattispecie.